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23 Luglio 2025
La proposta di CGIL, CISL e UIL per un Patto per lo sviluppo del territorio senese è un segnale importante. Non si tratta solo di una reazione all’emergenza occupazionale, ma del tentativo di aprire una fase nuova, fondata sul confronto stabile e sulla corresponsabilità tra attori istituzionali, economici e sociali.
Il percorso avviato dai sindacati in questi mesi ha avuto il merito di rimettere al centro la questione territoriale e di raccogliere l’adesione di gran parte dei Comuni, della Regione, dell’Università, della Fondazione MPS e delle associazioni di categoria. È una base utile, forse inedita, su cui provare a costruire politiche condivise per uscire dalla stagnazione e contrastare il rischio di declino.
Ma proprio per questo è necessario interrogarsi, con spirito critico e costruttivo, su ciò che ancora manca.
Il primo limite è la precarietà strutturale del lavoro, che nel territorio senese continua a crescere nonostante i numeri positivi dell’occupazione. Contratti brevi, salari bassi, scarsa prospettiva: una dinamica che riguarda soprattutto i giovani, le donne e le aree interne. Un Patto credibile non può limitarsi alla gestione delle crisi aziendali, ma deve affrontare il nodo della qualità del lavoro, premiando le imprese che investono in innovazione e tutele, e contrastando il dumping contrattuale.
Il secondo problema è la frammentazione degli interventi. Infrastrutture, sanità, scuola, abitare, turismo: tutti temi cruciali, spesso affrontati in modo settoriale, senza una regia complessiva. Serve invece una visione integrata del territorio, capace di superare i confini amministrativi e di ragionare in termini di sistema. La proposta del tavolo permanente può andare in questa direzione, ma solo se sarà dotata di strumenti operativi e tempi certi.
Il terzo nodo riguarda le risorse. La Fondazione MPS ha dichiarato la sua disponibilità, ma le sue capacità sono oggi limitate. Le istituzioni locali, a loro volta, operano in un quadro di finanza pubblica molto stretto. È dunque essenziale che il Patto si ponga anche il problema dell’attrazione di risorse nazionali ed europee, con progettualità solide e in grado di fare rete.
Infine, il Patto dovrà evitare il rischio della burocratizzazione. Se diventa un luogo di parole o di rappresentanza, perderà forza. Deve invece essere un dispositivo agile, trasparente e aperto alla società civile, capace di misurare i risultati, correggere la rotta, coinvolgere davvero chi lavora, chi studia, chi produce.
Siena e il suo territorio non mancano di energie né di competenze. Ma serve uno scatto collettivo, una nuova capacità di iniziativa. Per questo il Patto è una buona notizia. A condizione che non si riduca a un’intesa tra soggetti istituzionali, ma diventi davvero una piattaforma condivisa per immaginare un altro futuro possibile.