Con l’uccisione di Saleh al-Arouri a Beirut Benjamin Netanyahu incassa il primo vero successo nella guerra contro Hamas, scatenata dai massacri del 7 ottobre. In quasi tre mesi l’esercito israeliano ha inflitto dure perdite ai militanti palestinesi asserragliati tra le macerie di Gaza City e Khan Younis ma non è riuscito a stringere la rete attorno ai capi principali nella Striscia: Yahya Sinwar, il leader politico, Mohammed Deif, la mente degli attacchi, Abu Obeida, alla guida dell’infowar. Senza lo scalpo di almeno uno dei tre “King Bibi” non può rivendicare di aver davvero punito i responsabili del più grave eccidio di civili mai subito da Israele. Sopra di loro ci sono la guida ideologica Khaled Mishal e quella politica, Ismail Haniyeh, che però sono sotto la protezione del Qatar, un alleato degli Stati Uniti e quindi fuori, almeno per ora, dalla portata dei missili israeliani. Al-Arouri faceva parte del Politburo di Hamas, alle dipendenze di Haniyeh, e aveva un ruolo di cerniera con i movimenti gestiti dall’Iran, come dimostrava la sua permanenza nel quartiere di Ghobeiry nella capitale libanese, dove risiedono i notabili sciiti.
Il blitz è però ad alto rischio. È arrivato alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione del generale Qassem Soleimani, che oggi sarà ricordato in un discorso di fuoco dal segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Quello che doveva essere solo un esercizio retorico rischia di trasformarsi in una dichiarazione di vendetta, che dovrà essere seguita da lanci di missili e droni più in profondità nel territorio israeliano, per la regola del “bilanciamento”. Netanyahu certo sapeva di questo pericolo, una scintilla sopra un campo minato. Ha soppesato l’eventualità di aprire un secondo fronte a Nord, più volte evocata dal ministro della Difesa Yoav Gallant, che rivendica la guida dei falchi nel governo e sostiene la necessità non solo di annientare Hamas ma anche dare una lezione al Partito di Dio libanese. “King Bibi” è anche indebolito dalla sentenza dell’Alta corte che ha bocciato la sua riforma della Giustizia, si sente all’angolo, è più propenso all’azzardo. Ma un conflitto allargato è proprio quello che voleva evitare il segretario di Stato americano Antony Blinken, con il suo viaggio nella regione, ora rinviato. Non è contento e la faglia tra Usa e Stato ebraico comincia a divenire preoccupante.