La sfida della seduttiva banalità dell’intelligenza artificiale
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20 Gennaio 2023
di Massimo Franco
Di solito, il problema di un partito è quello di vincere il più possibile. Ma le elezioni regionali del 12 febbraio stanno rivelando il paradosso di Fratelli d’Italia, destinato a un’affermazione vistosa anche all’interno del centrodestra; e lievemente preoccupato che la vittoria annunciata possa rivelarsi a doppio taglio, se Lega e Forza Italia vengono umiliati nelle urne: a cominciare dalla Lombardia. Da quando nell’aprile del 2022 il partito di Giorgia Meloni organizzò la sua conferenza programmatica a Milano, col governo di Mario Draghi ancora saldamente in sella, si capì che puntava a uno sfondamento a Nord.
Era l’inizio di una strategia tesa a scalzare Matteo Salvini e Silvio Berlusconi come referenti storici di un blocco sociale che guardava con diffidenza la «romana» Meloni. Ma allora nessuno poteva prevedere che di lì a cinque mesi ci sarebbero state elezioni anticipate; e che il travaso di consensi dagli alleati a FdI si sarebbe accelerato. La popolarità della premier promette di confermare l’ascesa della destra lì e nel Lazio. Il tema è quanto sarà vistosa, e quanto caleranno invece leghisti e berlusconiani.
È chiaro che Palazzo Chigi non può risolvere la crisi degli alleati; né ha fatto nulla per provocarla, anzi. Semmai i tentativi di logoramento nei confronti di Giorgia Meloni sono arrivati da loro. Basta mettere in fila le polemiche delle ultime settimane. Ma il nervosismo del Carroccio, e soprattutto di FI è palpabile. E il timore che dopo il 12 febbraio si accentui e si scarichi sull’esecutivo sta diventando uno degli argomenti inconfessati della discussione nella maggioranza.
Quando il presidente del Senato, Ignazio La Russa, di FdI, seppellisce in modo definitivo l’idea del «partito unico» di centrodestra lanciata da Berlusconi, chiude la porta a qualunque ipotesi di «piano B» per gli alleati in crisi. «Dopo il fallimento del Polo delle libertà», ricorda La Russa, «qualcuno vuole il partito unico? Lo sciolse Berlusconi, non noi». Meloni preferì distaccarsi da quell’alleanza alla fine del 2012 insieme con l’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, fondando FdI.
Allora era un partitino a rischio di sopravvivenza. Ancora nel 2018, si arrampicò fino a uno striminzito 3,6%, distanziato in modo apparentemente irraggiungibile dalla Lega salviniana e da FI. Ma il terremoto del 25 settembre 2022 ha sepolto i vecchi rapporti di forza, grazie alla rendita di un’opposizione coerente rispetto agli alleati coinvolti nel governo Draghi. Il voto regionale del 12 febbraio potrebbe dire che, almeno nel breve periodo, gli equilibri si sono cristallizzati a tutto favore di FdI e della sua leader. In teoria dovrebbe essere un fattore di stabilità per il governo e la sua coalizione. Si vedrà se lo è anche in pratica.