La crescita del Pil nominale tornerà ad essere inferiore a quella del costo del debito: in particolare, nel 2026, la prima sarà pari a 3,1 per cento e la seconda a 4,6. Con un simile quadro, la riduzione del rapporto debito/Pil richiederà una stretta, quindi, un avanzo primario (ossia la differenza tra le entrate e le uscite al netto degli interessi), ben maggiore di quella necessaria attualmente. Pertanto, iniziare a tagliare il debito oggi consentirebbe di intervenire meno domani. La terza condizione riguarda le regole europee. O meglio, le nuove regole europee. Come è noto, le norme che limitano i debiti e disavanzi degli Stati nazionali, contenute nel Patto di Stabilità e Crescita, sono sospese fino a dicembre. A partire dal mese di gennaio torneranno in vigore a meno che i leader europei non riescano a trovare un accordo. La Commissione europea ha predisposto una bozza di riforma in cui al centro c’è, proprio, il debito. L’obiettivo è quello di indurre chi continua a registrare stock di passivi elevati e in crescita – ad, oggi, solo l’Italia si trova in questa situazione – a diminuirli in base ad un percorso specifico delineato da Bruxelles. A questo scopo, viene introdotta – per la prima volta – una distinzione in termini di rischio tra i debiti dei Paesi europei. Il nuovo impianto, infatti, è basato sul degree of debt challenge, letteralmente grado di sfida del debito. Per chi presenta un grado “sostanziale” (come verrà definito non è chiaro), il rischio di apertura di una procedura d’infrazione sarà maggiore. Oltre a trattare gli Stati in maniera diversa, la riforma presenta diverse criticità e, per questo, andrebbe profondamente modificata. Come si è già scritto su questo giornale, il governo dovrebbe cercare alleati per proporre un impianto che preveda criteri noti ex ante e un percorso di aggiustamento definito, in prima battuta, dagli Stati membri. E’ chiaro che presentarsi al tavolo negoziale con un debito che non scende non aiuterà.