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24 Ottobre 2025Perché la Cina ha tutto l’interesse che la guerra resti in piedi: il potere del petrolio e delle sanzioni
Da oltre due anni, la guerra in Ucraina ridisegna gli equilibri geopolitici globali. Mentre l’Occidente continua a sostenere Kiev e a imporre sanzioni sempre più dure contro Mosca, la Cina osserva, calcola e — silenziosamente — guadagna. Non perché desideri il conflitto, ma perché un mondo diviso, un mercato frammentato e un’energia a prezzo scontato rappresentano oggi la configurazione più favorevole per Pechino.
Il primo vantaggio è energetico. A causa delle sanzioni occidentali, la Russia ha perso gran parte dei suoi sbocchi tradizionali in Europa, dovendo trovare nuovi acquirenti per il suo petrolio e il suo gas. La Cina si è offerta come principale valvola di sfogo: nel 2023 Pechino è diventata il primo importatore mondiale di petrolio russo, acquistandolo con uno sconto medio tra il 10% e il 12% rispetto al prezzo internazionale. Secondo una stima della Banque de France, questo ha permesso alla Cina di risparmiare oltre sei miliardi di dollari solo nel 2022. In un periodo di rallentamento economico interno, l’energia a basso costo è una leva strategica formidabile: sostiene la produzione industriale e riduce la dipendenza da fonti mediorientali o americane, garantendo maggiore autonomia.
Più la guerra si protrae, più la Russia resta isolata. E più diventa dipendente dalla Cina, che ne è oggi il principale partner commerciale, finanziario e tecnologico. Mosca accetta pagamenti in yuan, rafforza i collegamenti energetici verso oriente, firma contratti di lungo periodo che la vincolano alla rete cinese di forniture e infrastrutture. Il Cremlino, in altre parole, si è consegnato a un equilibrio asimmetrico: la Cina compra, tratta, detta le condizioni. Per Pechino, questo significa assicurarsi per anni un accesso privilegiato a risorse vitali e consolidare il proprio ruolo di potenza regionale capace di influenzare le scelte di Mosca senza impegnarsi direttamente sul fronte militare.
Un altro effetto collaterale — ma per la Cina benefico — è la distrazione strategica dell’Occidente. Gli Stati Uniti e l’Europa, concentrati su Kiev, spendono capitali politici, economici e militari per contenere la Russia. Questo lascia a Pechino più margine di manovra nel Pacifico e nel Sud globale: dal Mar Cinese Meridionale all’Africa, passando per la Belt and Road Initiative, la Cina rafforza la propria presenza senza doversi confrontare con un Occidente pienamente reattivo. Finché la guerra in Ucraina rimane il centro dell’attenzione mondiale, la Cina può proseguire la sua strategia di “paziente espansione” con meno pressioni dirette.
Il greggio non è soltanto una merce: è uno strumento politico. La Cina lo sa e lo usa per costruire dipendenze, alleanze e potere. Attraverso acquisti massicci di petrolio russo, iraniano e venezuelano — tutti Paesi colpiti da sanzioni — Pechino costruisce una rete di relazioni economiche che sfida l’ordine occidentale basato sul dollaro e sulle regole del mercato globale. La guerra, mantenendo intatte le sanzioni e le fratture internazionali, rafforza questo sistema parallelo. Non è un caso che l’export russo verso la Cina sia cresciuto del 40% in un solo anno, e che lo yuan sia diventato la principale valuta di scambio tra i due Paesi. In sostanza, l’instabilità che penalizza l’Europa diventa per Pechino un’occasione per accelerare la de-dollarizzazione e costruire un asse economico alternativo.
Questo non significa che la Cina desideri una guerra eterna. Un conflitto troppo lungo o una sua escalation incontrollata comporterebbero rischi per la stabilità dei mercati e per la sicurezza delle rotte energetiche. Ma, nel breve e medio periodo, lo scenario attuale è il più conveniente: la Russia resta un fornitore sottomesso, l’Occidente è distratto e diviso, e la Cina si consolida come arbitro silenzioso di una nuova economia di guerra.
In definitiva, la pace, almeno oggi, non conviene a Pechino. Un accordo rapido tra Russia e Ucraina significherebbe la riapertura dei mercati occidentali, il rialzo dei prezzi dell’energia e la perdita di quella leva strategica che consente alla Cina di comprare a basso costo, rafforzare il proprio peso politico e costruire una sfera economica autonoma. Finché la guerra tiene, la Cina non deve scegliere: può dichiararsi neutrale, apparire come mediatrice e, nel frattempo, incassare i dividendi geopolitici di un conflitto che logora i suoi rivali e alimenta la sua crescita silenziosa.





