Il rimbombo della «Memoria» è un suono silenzioso nella testa
16 Luglio 2022Wes Montgomery – Round Midnight
16 Luglio 2022Museion, Tempio delle Muse: nell’etimologia stessa del museo d’arte si annida un paradosso. Concepito come edificio in cui l’umanità conserva i prodotti dell’ingegno che esprimono la sua aspirazione a sfuggire alla caducità e alla morte, questo tempio laico consacrato alla dea Eternità è in realtà soggetto a ogni sorta di mutazione, a cominciare da quelle che Haskell chiamava le metamorfosi del gusto. Tutela, ricerca, valorizzazione: questa la triplice missione che la riforma Franceschini assegna ai “superdirettori” dei grandi complessi museali.
Marco Pierini, direttore dal 2015 della Galleria Nazionale dell’Umbria (Gnu), è tra i più innovativi interpreti di questo non facile ruolo, che richiede competenze storico-artistiche, ma anche capacità manageriali, sensibilità sociale, accortezza politica. Tanto più a Perugia, dove la Gnu, pur non essendo il solo museo statale a discendere da una Galleria civica (la Pinacoteca intitolata al genius loci Pietro Vannucci detto il Perugino), passata allo Stato nel 1918, è sicuramente l’unico a dover coabitare con il Consiglio comunale e gli uffici del primo cittadino in Palazzo dei Priori. Fin dal suo arrivo a Perugia, Pierini si è dato da fare: nuovo logo, grande lavoro di squadra con collaboratori competenti e motivati, rapporti con le istituzioni locali e con i musei internazionali. E mostre memorabili, come quella su Taddeo di Bartolo. Ora ecco il nuovo allestimento che si è inaugurato il primo luglio (per finanziare il quale aveva ottenuto 5 milioni di euro dal Fondo sviluppo e coesione), incentrandolo sui temi-chiave della tutela delle opere – che a Perugia sono in massima parte fragili dipinti su tavola –, della sostenibilità ambientale, e di quella accoglienza.
Improntato a un rigoroso rispetto della cronologia e alla volontà di far dialogare la raccolta con gli ambienti (comprese le preesistenze) e gli spettacolari affacci del palazzo che la ospita, il nuovo percorso ha ridotto le sale da 42 a 39, scegliendo di esporre le arti applicate (oreficerie, tessuti, avori) accanto alla pittura e alla scultura coeve e optando per una selezione più snella e rappresentativa dell’ampiezza e ricchezza delle raccolte: 220 opere — 40 in meno del precedente allestimento — ma con recuperi e novità esaltanti (in primis una magnifica pala d’altare di Giuseppe Maria Crespi, ripescata in una destinazione impropria e restaurata) e 80 opere nel deposito, pronte a riempire i vuoti creati dai prestiti.
Rispettando la cronologia, si comincia con il Duecento umbro, in una sala di grande impatto visivo, dove la gigantesca croce del Maestro di San Francesco, datata 1272, pende con l’inclinazione originaria che aveva in San Francesco al Prato e si confronta con dipinti, sculture e oreficerie umbre coeve. Segue la sala, illuminata dalla luce naturale, che ospita gli elementi bronzei della Fontana Maggiore di Nicola e Giovanni Pisano e i frammenti marmorei dell’altra fontana di piazza duomo, con lo Scriba e l’ “assetata” di Arnolfo di Cambio. Si passa poi nella cappella di Priori, affrescata da Bonfigli, in cui Pierini ha affidato a Vittorio Corsini il compito di ricreare, con tecnica antica ma linguaggio contemporaneo, le due distrutte vetrate del Bonfigli e l’altare ligneo.
Seguendo il filo della cronologia si passa così di secolo in secolo, con tante altre novità, come la sala monografica dedicata al mirabile Polittico di Piero della Francesca o le due sale in cui sono state suddivise per cronologia le opere del Perugino, prima frazionate in ben sette ambienti.
Ecco quelle che paiono le principali novità (alcune delle quali felicemente controcorrente). 1. I colori delle pareti. Pierini ha giustamente optato per pareti chiare, grigio perla o color sabbia, facendo così “squillare” i vivi colori delle opere. Hanno sposato questa scelta gli architetti Daria Ripa di Meana e Bruno Salvatici, che hanno firmato un allestimento essenziale e sofisticato, “al servizio delle opere”.
2. Luci e risparmio energetico. Quando possibile si è optato per la luce naturale, con finestre che filtrano i raggi solari; il sistema di illuminazione artificiale sarà dotato di rilevatori di presenza, che automaticamente regolano al minimo le luci in assenza di visitatori.
3. Le “basi scorrevoli”. È in assoluto la novità più rivoluzionaria. Pierini e Maria Cristina Tomassetti, funzionaria restauratrice, hanno trovato in Riccardo D’Uva, della ditta Arguzia, l’architetto che ha saputo dar corpo alle loro istanze, creando per le tavole medie e grandi, 72 basi di sostegno a due ante, dal disegno elegante ed essenziale, che consentono di scostare dal muro e far avanzare con il minimo sforzo e senza alcun rischio le tavole, anche quelle più colossali permettendo di ispezionare ed effettuare interventi di manutenzione.
4. L’accoglienza: con un accorto dosaggio di costrizione e libertà, il pubblico viene pilotato di sala in sala in un percorso obbligato, dove può godere pienamente della vista delle opere, ma anche riposare in ampi divani. Il progetto multimediale realizzato da Magister Art fornisce approfondimenti e angolazioni inedite su una selezione del patrimonio esposto, mentre è in uscita una nuova guida alla raccolta ed è già in corso quella per bambini, con protagonista la Pimpa di Altan.
5 Il Novecento: anche questa una novità assoluta, dedicata a artisti umbri o che hanno scelto l’Umbria per lavorarci. Nella sala 39 sono in mostra il Tramonto Lunare, dell’aeropittore Gerardo Dottori, un raro Catrame giovanile di Burri, un suo Cellotex del ’71, e una grande tela di Dorazio, romano innamorato di Todi. E un’opera recente di Adalberto Mercarelli, ternano.
6. La biblioteca aperta: grazie al sindaco Andrea Romizi, che ha concesso il magnifico spazio della sala del Grifo e del Leone, che si affaccia su Piazza IV Novembre, la biblioteca della Soprintendenza, con i suoi 30 mila volumi, non è più ad uso solo interno, ma è aperta al pubblico, a disposizione di studenti e studiosi.
Nel 2023 ricorre il V centenario della morte del Perugino. Mentre completa con gli ultimi ritocchi il nuovo allestimento, la Gnu ha già in cantiere la mostra che rid arà il lustro che merita a quel genio misconosciuto che Agostino Chigi considerava «il meglio maestro d’Italia».