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21 Luglio 2023di Federico Fubini
Il governo: intesa con l’Ue. Ma 519 milioni slittano. Opposizioni all’attacco: «Incapaci». Le tappe da rispettare
Alla fine il governo ha imboccato il percorso che da due mesi appariva quasi inevitabile. L’Italia accetta un pagamento parziale della terza rata del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) e con esso lo sblocco di 18,5 miliardi di euro su 19, che a questo punto potrebbe arrivare tra poche settimane. In parallelo slitta e cambia l’obiettivo più problematico fra quelli legati a questa erogazione, i 7.500 posti letto negli studentati universitari su cui tutto si era bloccato. Il governo non dovrà più dimostrare di aver realizzato quel numero di nuovi posti letto entro la fine dell’anno scorso. Gli basterà provare di aver avviato, entro metà di quest’anno, le procedure in vista dell’apertura concreta di 60 mila posti letto totali alla fine del periodo nel Piano, nel 2026. A quel punto una quota di 519 milioni di euro di erogazioni, tolta dalla terza rata, sarebbe reintegrata nella quarta da pagare nei prossimi mesi.
Si sapeva dall’inizio che il Pnrr sarebbe stato ginnastica ardua per la pubblica amministrazione e la politica italiane, perché ribalta le abitudini. Il programma non si basa semplicemente sull’idea di portare a termine una serie di adempimenti formali. A questi la Commissione vuole verificare che corrispondano risultati concreti e misurabili ad ogni passaggio. I funzionari di Bruxelles dedicati ai Piani dei diversi Paesi tra l’altro hanno un’ottima ragione di voler verificare le realizzazioni, non solo le procedure: la Corte dei conti europea e la commissione di controllo dell’europarlamento li metterebbero nel mirino se alle erogazioni non dovessero corrispondere fatti certi nei Paesi beneficiari. Di qui l’estrema concretezza di tutte le verifiche.
In questo caso esisteva tuttavia un margine di ambiguità legale su cui Roma e Bruxelles si sono scontrate, incredibilmente, per mesi: l’Italia sosteneva di aver creato i 7.500 posti letto ai sensi della legge vigente (la 338 del Duemila, rivista per il Pnrr nel 2021); la Commissione invece che alcuni dei posti erano di fatto studentati già prima del Pnrr, anche se non dichiarati tali a norma di legge, dunque veniva meno il requisito di un certo numero di posti aggiuntivi, su cui erano impegnati 300 milioni.
Di discussioni così ce ne sono già state fra Roma e Bruxelles, per esempio sugli asili nido, e ce ne saranno inevitabilmente fino all’ultimo giorno del Piano. La complessità e vastità del Pnrr sono tali che un percorso senza intoppi non è mai stato verosimile. Non a caso erano almeno due mesi che la via del pagamento parziale appariva la più percorribile per sbloccare la terza rata (si veda il Corriere del 28 maggio scorso). Se il governo ha resistito così a lungo, è stato per non dare l’impressione di piegarsi alle imposizioni di Bruxelles. Ma se alla fine ha ceduto, è perché ora spera di incassare entro quest’anno anche una quarta rata, maggiorata da 16 a 16,5 miliardi di euro grazie all’integrazione dei 519 milioni legati ai posti-letto universitari. Questo pagamento infatti è legato a obiettivi che erano da raggiungere entro il 30 giugno scorso, di cui il governo ha chiesto e in parte negoziato la modifica in base a un’interpretazione più flessibile dei risultati.
«In accordo con la Commissione — recita una nota di Palazzo Chigi — le modifiche proposte non avranno impatto sull’importo complessivo dei pagamenti che l’Italia riceverà nel 2023 con la terza e la quarta rata, per un importo totale di 35 miliardi di euro». Una portavoce della Commissione conferma questa chiave di lettura e Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca, conferma gli impegni nel merito: «Preserveremo gli obiettivi del 2026». Anche Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia, parla di «lavoro costruttivo e positivo fra Roma e Bruxelles» grazie al quale «l’Italia nelle prossime settimane riceverà la terza rata». Quanto a Elly Schlein, leader del Pd, la sua reazione è a due facce: «Bene che finalmente arrivi questa terza rata, ma si dimostra la grande incapacità del governo di gestire questo grande piano unico e irripetibile di investimenti».
L’intera vicenda tuttavia rivela in trasparenza altre questioni politiche e di procedura. In primo luogo, perché per l’Italia riuscire a ottenere davvero la quarta rata da 16,5 miliardi entro la fine dell’anno resta difficilissimo. Ci sono stati progressi nei negoziati, ma il governo ha chiesto la revisione di dieci obiettivi sui 27 previsti per il 30 giugno scorso e Bruxelles potrebbe sollevare obiezioni anche per alcuni di quelli che il governo ritiene di aver raggiunto. Perché la rata sia pagata entro dicembre, tutto dovrà andare incredibilmente liscio.
Ma l’altra lezione riguarda la Commissione europea, ai cui vertici è palpabile la premura che l’intero Recovery Plan non faccia naufragio. Ursula von der Leyen non vuole andare alle elezioni europee fra dieci mesi circondata dall’impressione che il Recovery, principale creatura del suo primo quinquennio a Bruxelles, è fallito: il secondo quinquennio, a cui aspira, rischierebbe di non iniziare mai.
E Italia e Spagna, come ricorda un recente rapporto di Standard and Poor’s, con circa 350 miliardi di allocazioni rappresentano da sole metà dell’intero Recovery Plan europeo. Madrid procedeva spedita, ma ora prenderà del ritardo legato alle elezioni e ai tempi lunghi di formazione di un nuovo governo. L’Italia non è mai stata campione europeo di efficienza politico-amministrativa. Ma von der Leyen e i suoi commissari, finché potranno, non permetteranno che i loro Pnrr finiscano in un vicolo cieco.