Oliver Roy
«In Francia non si è mai sentito parlare di uno spacciatore ucciso dalla polizia in una banlieue». Per questo il politologo Olivier Roy, che insegna all’Istituto universitario europeo di Firenze, individua nell’atteggiamento delle forze dell’ordine una delle principali cause che hanno fatto scoppiare l’ondata di violente proteste nel Paese. Anche se le radici del problema sono molto più profonde.
Professor Roy, ma allora come bisogna interpretare quello che sta succedendo oggi in Francia?
«C’è prima di tutto una dimensione sociale. La maggior parte dei giovani che partecipa ai disordini è figlia dell’immigrazione, magari di seconda o terza generazione perché chi è appena arrivato in Francia non prende parte alle proteste. In questa fascia della popolazione sono molti quelli che appartengono alla borghesia. Per questo le prime vittime delle sommosse sono le classi medie musulmane, che vedono i loro negozi saccheggiati e distrutti perché si trovano nelle zone dove avvengono i disordini».
Sta dicendo che chi partecipa alle rivolte è rimasto escluso dalla società?
«L’ascensore sociale in Francia parte ha funzionato parzialmente, lasciando dietro alcune zone che sono state abbandonate dallo Stato. C’è quindi questo elemento sociale, dove chi è integrato non ha problemi. È tutta lì la questione».
Ma questa nuova ondata di violenze è cominciata dopo che un ragazzo ha perso la vita durante un controllo stradale.
«Da quarant’anni tutte le sommosse scoppiate nelle banlieue hanno avuto come punto di inizio la morte di un giovane ucciso dalla polizia. Non dico certo che sono tutti bravi ragazzi, ma è assurdo vedere gli spacciatori agire tranquillamente in quei quartieri mentre un ventenne che passa con il rosso viene ammazzato dagli agenti».
Quindi tutto dipende solo dall’atteggiamento violento della polizia?
«È l’elemento scatenante. Negli ultimi quarant’anni non c’è mai stato un vero sforzo volto alla formazione di una polizia repubblicana, capace di parlare senza tirare subito fuori un’arma. Siamo ormai ad una situazione simile a quella americana. Per questo c’è un sentimento di profonda ingiustizia in quelle zone: la polizia tormenta i ragazzi ma non se la prende mai con i veri delinquenti. Poi c’è un background che riguarda lo stato di abbandono in cui versano quei quartieri».
Sembrerebbero quasi tagliati fuori dal resto del Paese.
«Sono zone dimenticate dallo Stato. Ci vive però gente che lavora, ha delle attività, va in fabbrica. Non stiamo parlando di zone regolate da un’autorità locale, come ad esempio le moschee, perché in quel caso non ci sarebbero le proteste. Il vero problema sta nell’assenza di socializzazione che ha portato ad un’atomizzazione degli abitanti».
Ma perché non si fa nulla per risolvere la situazione?
«Il problema è stato individuato da più di 20 anni ma si è cercato di dare una risposta con una falsa politica. Già ai tempi della presidenza di Nicolas Sarkozy è stato fatto un parallelo tra le guerre di banlieue e il terrorismo islamista. Le rivolte del 2005 furono islamizzate, si disse che era una questione legata ad una serie di fattori come ad esempio le moschee. Si è creata così l’idea che le insurrezioni nei quartieri sono opera di giovani jihadisti che ogni tanto si rivoltano. Ma non è così: nessuno dei terroristi processato in questi anni ha mai partecipato agli scontri».
E questo a cosa ha portato?
«I musulmani sono stati stigmatizzati, mentre gli aspetti sociali e generazionali di simili eventi sono finiti per essere marginalizzati .
Quindi l’Islam non ha niente a che vedere con quello che sta succedendo?
«Zero. Sarebbe come dire che le rivolte degli afroamericani negli Stati Uniti sono protestanti o cattoliche. Anche perché qui in Francia spesso ai disordini si uniscono black bloc e ambientalisti radicali. La prova è anche data dalla marginalizzazione degli imam, che sono tutti contrari alle violenze ma nessuno li ascolta».
Neanche sotto la presidenza di Macron è stato fatto qualcosa per migliorare la situazione?
«Lui è un neoliberale, parla di imprenditoria con i giovani delle banlieue. Gli consiglia di creare una propria piccola impresa o una start up. Alla fine è un modello che gli spacciatori hanno ripreso, con un sistema molto efficace della vendita di droga!»
Adesso il governo applica il pugno duro per calmare le tensioni. Non si rischia un’escalation?
«Stiamo parlando di una sommossa, non di un’insurrezione. Tra una settimana comincerà a scemare. La Francia dopo l’arrivo di Macron all’Eliseo ne ha viste tante, come ad esempio quelle dei gilet gialli o le più recenti proteste contro la riforma delle pensioni. Con lui la violenza in Francia è nettamente aumentata, perché si è andato a distruggere il sistema di solidarietà sociale». d.c.