il racconto
Manganelli, lacrimogeni, volti insanguinati e sanpietrini sui poliziotti: notte dopo notte, la piazza di fronte al parlamento georgiano si trasforma nel teatro di uno scontro sempre più violento. Ieri mattina, sui social circolavano le fotografie degli attivisti con le ferite provocate dalle pallottole di gomma e il deputato Levan Khabeishvili, presidente del Movimento nazionale unito, principale partito dell’opposizione, si presentava in parlamento con un volto bendato e orrendamente tumefatto dalle percosse della polizia. Ma ieri sera, i manifestanti dell’opposizione sono tornati nelle strade di Tbilisi. La rivolta contro la “legge russa”, iniziata ad aprile, è andata ben oltre uno scontro tra governo e opposizione: la Georgia sta oscillando sull’orlo di una crisi violenta che potrebbe decidere il suo futuro europeo.
Un anno fa, la legge sugli “agenti stranieri” – che sostanzialmente imponeva a qualunque media o Ong con più del 20% di finanziamenti esteri di sottoporsi a controlli speciali e dichiararsi un agente di influenza – era stata richiamata dal governo di Sogno Georgiano sotto la pressione della protesta della piazza. Stavolta, l’esecutivo di Irakly Kobakhidze sembra non avere l’intenzione di cedere: la polizia non ha esitato a ricorrere alla violenza contro i manifestanti e i deputati che durante il dibattito hanno provato a criticare la legge sono stati semplicemente tacitati ed espulsi dall’aula. Il Sogno Georgiano ha una maggioranza schiacciante e si prepara a superare anche l’imminente veto sulla legge promesso dalla presidente Salome Zurabishvili. Ma soprattutto, non nasconde più a cosa serve la “legge russa”: dalla tribuna di un comizio a Tbilisi l’oligarca Bidzina Ivanishvili – ex premier e vero ideologo e proprietario del partito al governo – ha chiamato a emettere «la sentenza finale» contro l’opposizione, che accusa di essere «agenti stranieri» del «partito della guerra globale dell’Ue e della Nato», che stanno «preparando la rivoluzione» in vista delle elezioni di ottobre.
Mai l’intenzione di rompere con l’Occidente e riportare Tbilisi sotto l’ala di Mosca – che nel 2008 aveva invaso la Georgia in una guerra-lampo che le ha strappato il 20% del suo territorio – era stata formulata in maniera più esplicita. Un segnale che è stato ascoltato a Bruxelles, e mentre Ursula von der Leyen avvertiva ieri che «la Georgia si trova a un bivio», nel parlamento europeo si discuteva di sanzioni contro Ivanishvili e i suoi deputati, e dell’ipotesi di sospendere il percorso di adesione per Tbilisi, che ha ottenuto lo status di Paese-candidato all’Ue soltanto pochi mesi fa, e con una certa fatica. Una mossa che diventerebbe inevitabile nel caso di una repressione violenta della protesta, e dell’adozione di altre leggi repressive come quella contro le persone LGBT, promessa come imminente dal premier Kobakhidze. Un boicottaggio europeo non farebbe però che facilitare la strada a Ivanishvili, che sembra essere già pronto alla rottura con l’Occidente: ieri l’ambasciatrice americana a Tbilisi Robin Dunnigan ha rivelato che nelle ultime settimane il governo georgiano ha «scelto di declinare l’invito a discutere la partnership e l’assistenza Usa». Il commento del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov sulle «pressioni esplicite degli Usa ai Paesi che cooperano con la Russia» appare un’ultima conferma che la crisi a Tbilisi fa parte del grande gioco che il Cremlino sta conducendo su più scacchiere.
Per Vladimir Putin, il Paese caucasico è cruciale non soltanto perché era stato il primo ad abbandonare l’orbita filorussa, ma anche perché in Georgia hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di esuli russi contrari alla guerra in Ucraina (molti dei quali stanno ora scendendo in piazza a fianco dei giovani georgiani). I propagandisti televisivi russi stanno già chiamando a invadere la Georgia. Ma, se la piazza non costringerà Ivanishvili a fare un passo indietro, la svolta antieuropea di Tbilisi potrebbe svolgersi in modo più “pacifico”: la “legge russa” permetterebbe di silenziare Ong e giornali d’opposizione in vista delle elezioni. Un progetto che però dovrà passare letteralmente sul corpo dei giovani georgiani in piazza, in una spaccatura generazionale sempre più evidente e drammatica. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei georgiani è favorevole all’avvicinamento all’Europa, e la protesta scatenata dalla “legge russa” ha mostrato la presenza di una società civile molto determinata (in Russia a suo tempo Putin approvò le sue leggi liberticide senza incontrare alcuna resistenza che non fosse di pochi intellettuali). Quanto la piazza del parlamento di Tbilisi possa diventare un nuovo Maidan, oppure una Tiananmen, dipenderà però anche da altri attori: ieri, la chiesa ortodossa georgiana, che sostiene il governo, ha però chiamato le parti a un negoziato, per trovare una «soluzione pacifica» e ascoltare «la generazione che costruirà il futuro del Paese».