
Carlo Sama e il racconto di una stagione italiana
23 Novembre 2025
Di Pierluigi Piccini
Desidero esprimere un sincero apprezzamento per l’iniziativa e per il lavoro di Maura Martellucci. Il volume dedicato alla Collegiata di Provenzano è un esempio riuscito di divulgazione colta: un testo agile, chiaro, capace di raccontare uno dei luoghi più identitari di Siena senza ricorrere a scorciatoie. La piazza, il miracolo della terracotta, la chiesa nata tra devozione popolare e orgoglio civico: ogni elemento è restituito con equilibrio, lasciando emergere la stratificazione delle storie che vi si intrecciano.
Fra i molti spunti offerti dal libro, ce n’è uno che sento particolarmente vicino: il modo in cui, a Provenzano, Siena parla della morte. È un tema che mi accompagna da sempre, come un filo silenzioso, e ritrovarlo qui – mai dichiarato, eppure costante – mi ha colpito profondamente.
Il fulcro di questa presenza è il Cristo morto del Casolani. Non è un’immagine tragica né segnata da un pathos teatrale; la sua forza risiede nella quiete, in una resa priva di disperazione che sorprende e interroga. Di fronte a questa figura la morte non appare come negazione, ma come un passaggio che la comunità ha scelto di rendere visibile, condivisibile, attraversabile.
Per comprendere questa scelta occorre tornare alla Siena della fine del Cinquecento: una città giovane e insieme già ferita, nel pieno di una trasformazione drammatica. Ha perduto la propria indipendenza, ha dovuto accettare un nuovo ordine politico, vede disgregarsi la prospettiva repubblicana su cui aveva fondato la propria identità. È un corpo civico colpito ma ancora vitale, scosso nel profondo. In questo contesto la morte non è un tema intimista, bensì la metafora di una perdita storica e collettiva; e l’arte risponde offrendo forme capaci di ricucire ciò che sembra spezzarsi.
Provenzano diventa così un laboratorio di resistenza simbolica. La morte non viene rimossa né esorcizzata, ma collocata entro un ordine che ricompone. La bellezza non è evasione: è il linguaggio attraverso cui la comunità evita di smarrirsi, ritrova la propria continuità, conserva se stessa anche mentre la storia la costringe a mutare. È il modo in cui Siena, ferita ma ancora combattiva, affronta la propria ombra senza arretrare.
Il libro di Martellucci lascia intuire tutto questo con una misura che convince, senza sovraccarichi interpretativi. Ed è proprio in questa discrezione che risiede la sua forza: nel ricordare che Provenzano non è soltanto un santuario, ma il luogo in cui la città ha trasformato la perdita in memoria condivisa e la fragilità in continuità. Un luogo in cui la morte non viene relegata ai margini, ma riconosciuta come parte essenziale del racconto comune.
Se questo tema continua a parlarmi è perché tocca qualcosa di più ampio: la bellezza, quando è autentica, non si limita a consolare. Custodisce. E permette di attraversare ciò che fa paura senza perdere il senso di ciò che siamo.





