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15 Agosto 2025Quando il governo sceglie il suo popolo: la crisi della democrazia secondo Pier Giorgio Ardeni
L’analisi proposta da Pier Giorgio Ardeni, su Domani di oggi, coglie uno dei tratti più inquietanti della politica contemporanea: la progressiva trasformazione della democrazia liberale in un meccanismo formale privo di sostanza, dove la rappresentanza non è più lo strumento attraverso cui la pluralità sociale trova espressione, ma un dispositivo che seleziona chi è degno di essere ascoltato. Le grandi mobilitazioni degli ultimi anni – contro la guerra, il riarmo, la complicità con le politiche israeliane a Gaza – hanno mostrato una vitalità democratica diffusa, ma anche la loro impotenza di fronte a governi che proseguono secondo agende determinate altrove. Questo scollamento tra volontà popolare e decisione politica, che Ardeni descrive come il momento in cui “è il governo a eleggere il suo popolo”, segna un passaggio storico: dal consenso come fondamento del potere alla legittimazione basata su un segmento ristretto, definito in base a criteri di appartenenza identitaria, economica e culturale.
Questa mutazione ha radici profonde. Il trentennio neoliberista ha eroso il ruolo dello Stato, trasferito potere ai mercati globali e disarticolato le basi sociali della rappresentanza politica. La promessa di benessere diffuso, che aveva dato stabilità all’ordine liberale, è svanita, mentre la ricchezza si concentra nelle mani di pochi e i redditi da lavoro ristagnano. In parallelo, la perdita di egemonia dell’Occidente ha alimentato una reazione aggressiva sul piano politico-militare, giustificata da una narrazione di accerchiamento e di “difesa della democrazia” contro i nemici esterni. In realtà, come osserva Ardeni, ciò che viene difeso è il controllo delle élite, che hanno scoperto di poter governare senza un consenso maggioritario, purché mantengano il sostegno di una minoranza fedele.
A questa crisi di rappresentanza si è sovrapposta la risposta sovranista, che offre protezione selettiva e privilegio di cittadinanza agli inclusi, riducendo la democrazia a un rapporto esclusivo tra leader e comunità ristretta. È un modello che può funzionare anche con una partecipazione elettorale in calo, perché non cerca di convincere tutti, ma di rafforzare l’identificazione di chi già si riconosce nella linea di governo. Di fronte a questo scenario, la semplice nostalgia per la democrazia liberale classica non basta. Come ricorda Ardeni, l’unica via d’uscita è la nascita di nuove aggregazioni politiche capaci di rompere il monopolio decisionale delle élite, di creare reti solidali, di agire su scala transnazionale e locale insieme. La democrazia, per sopravvivere, deve tornare a essere una pratica quotidiana e inclusiva, non una delega episodica: altrimenti la sovranità popolare rischia di restare solo una formula retorica, mentre il governo continuerà a scegliere, di volta in volta, il popolo che gli conviene.