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I dati della Fises al 30 settembre – 62 pratiche concesse per oltre 6,3 milioni di euro, di cui dieci per nuove attività – sono presentati come un successo. E in parte lo sono: testimoniano la vitalità del credito locale e la capacità tecnica di una struttura che, in tempi brevi, riesce a sostenere imprese del territorio. Ma se si guarda oltre la superficie, emerge una contraddizione che riguarda da vicino Siena città.
Nel 60% dei finanziamenti destinati all’“area senese e Val d’Elsa”, non è dato sapere quanto realmente tocchi al capoluogo. E questo silenzio pesa. Perché Siena, dopo anni di impoverimento produttivo e di perdita di centralità, avrebbe bisogno di un uso mirato di questi strumenti, capace di tenere insieme innovazione, formazione, artigianato e rigenerazione urbana.
Fises lavora bene sul piano amministrativo, ma resta chiusa in una logica da intermediario finanziario, non da motore di sviluppo territoriale. Risponde alle richieste, non le orienta. Finanzia l’esistente, più che accompagnare il nuovo. Il risultato è un flusso di risorse che si disperde in microinterventi: qualche esercizio commerciale, un po’ di turismo, un’industria che resiste. Nessuna vera strategia su innovazione digitale, filiere culturali o transizione verde — i settori su cui si gioca il futuro di una città universitaria e di servizi come Siena.
Dietro il linguaggio contabile – “plafond esaurito”, “istruttorie rapide”, “partner d’impresa” – manca la domanda essenziale: dove sta andando Siena? Senza un disegno politico ed economico condiviso, anche i numeri migliori rischiano di restare puramente quantitativi.
Fises funziona, ma non trasforma. E una città che si accontenta dei numeri rischia di perdere ancora una volta la sua direzione.





