
Digest Strategico – Mercoledì 8 ottobre 2025
8 Ottobre 2025
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8 Ottobre 2025FILOSOFIA
Emmanuel Falque e Pierfrancesco Stagi tracciano le relazioni tra il filosofo e il teologo, anticipatore del metodo fenomenologico
«I o non faccio che lavorare concretamente a partire dal mio “io sono”, dalla mia provenienza intellettuale o del tutto fattuale, dal mio potremmo dire milieu, dai contesti di vita e dunque a partire da ciò che mi è hic et nunc accessibile nella forma dell’esperienza di vita nella quale mi trovo».
In queste parole che Martin Heidegger indirizzò per lettera, nel 1921, allo studente di dottorato e futuro filosofo Karl Löwith (autore di Da Hegel a Nietzsche e Significato e fine della storia), è racchiusa buona parte del significato del volume di Emmanuel Falque sul Breviloquium di san Bonaventura, apparso a Parigi nel 2000 e adesso pubblicato per la prima volta in Italia, per le Edizioni della Biblioteca Francescana di Milano, a cura di Pierfrancesco Stagi ( San Bonaventura e l’ingresso di Dio in teologia, pagine 242, euro 39,00).
Di Stagi, inoltre, esce, sempre per l’editrice francescana milanese, uno studio su Heidegger e Bonaventura (pagine 108, euro 28,00), orientato ad approfondire la questione al centro del volume di Falque, vale a dire l’individuazione di un possibile legame tra la teologia bonaventuriana e la filosofia esistenzialista di Heidegger: sulla base di un approccio alla storia della filosofia, inaugurato proprio da Heidegger e orientato a superare la ricostruzione storico-critica, integrandola con l’ermeneutica, cioè con l’interpretazione volta a ricercare «ciò che è contenuto nei testi medioevali e che continua a interrogare l’uomo contemporaneo», in quanto «ogni filosofia all’interno del proprio tempo riprende problemi che vanno oltre il proprio tempo». Falque (classe 1963), storico della filosofia medioevale e decano onorario della Facoltà di filosofia dell’Institut Catholique di Parigi, ritiene, sulla scia di quella vague heideggeriana “anni Novanta” della scuola fenomenologica del suo maestro Jean-Luc Marion (che per primo lo indirizzò verso Bonaventura), ma forse anche di Derrida e Lévinas, di poter compiere un’operazione quasi mai tentata prima: studiare la filosofia medioevale servendosi della fenomenologia, la scuola filosofica dalla quale era nato l’esistenzialismo di Heidegger (e iniziata ai primi del Novecento dal suo maestro Edmund Husserl), che mira a conoscere le essenze metafisiche concentrandosi sulla modalità attraverso la quale esse diventano fenomeni, cioè si manifestano alla coscienza.
Andando quindi alla ricerca, in Bonaventura, dei punti nei quali il santo francescano del XIII secolo dimostra di seguire questo metodo, si scoprirebbe non solo che lo segue, ma anche che può corroborarlo. L’autore dell’Itinerarium mentis in Deum “contribuirebbe” quindi all’operazione, iniziata da Heidegger alla metà degli anni Venti, di utilizzare la categoria di esistenza per ripensare la metafisica: che, nella prospettiva heideggeriana, non dovrebbe essere più la scienza di Dio inteso come principio e sommo ente, in quanto dovrebbe invece incentrarsi sull’essere e sulla “messa tra parentesi” dell’ente.
E ciò anche se Heidegger, nel suo programma di uno «studio fenomenologico degli scritti mistici, morali e ascetici della Scolastica medievale», aveva ritenuto il Dio di Bonaventura non adatto allo scopo, in quanto, a suo dire, non differente da quello metafisico di Aristotele. Ma l’operazione di utilizzo di Bonaventura a favore di Heidegger, che Falque ritiene di poter compiere, viene da lui corroborata da un’analisi del Breviloquium bonaventuriano, che ci restituisce il santo francescano nelle vesti di fondatore di una «fenomenologia del dono» o «dell’ordinario ». Un Dio non più distante, che anticiperebbe il riformismo religioso della prima Età moderna presente negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: l’Incarnazione, pur non privando Dio della propria trascendenza, «richiede il limite ed è abitando il nostro essere creato che noi rimaniamo ciò che Dio ha voluto che fossimo». Se il filosofo francese decide di percorrere la strada dell’esistenzialismo della trascendenza incamminandosi da Heidegger a Bonaventura, c’è stato invece chi, come Gianni Vattimo, ha voluto anch’egli mantenere l’esistenzialismo dentro l’orizzonte della trascendenza, non incamminandosi però verso Bonaventura, ma restando saldamente ancorato ad Heidegger: affermando cioè che «bisogna smettere di pensare l’aldiqua e l’aldila come dimensioni divise da un baratro », dal momento che la trascendenza sarebbe non (medievalmente) oltre il (e altro dal) mondo.
L’operazione condotta da Stagi, nel suo volume “di rinforzo” a quello di Falque, parte proprio dal pensiero di Vattimo, scomparso due anni fa e al quale lo studio è dedicato come a un maestro che ha mostrato all’autore «la radicale ispirazione cristiana» dell’opera di Heidegger: « volta non a un nostalgico rimpianto del passato, ma a un inesauribile slancio di liberazione umana, etica e sociale – questa sì autenticamente francescana».
Ma il volume di Stagi tiene conto anche del fatto che Falque, dopo aver pubblicato nel 2000 l’interpretazione heideggeriana di Bonaventura, negli anni successivi ha modificato la propria prospettiva: dopo aver concepito il suo studio su Bonaventura come «una sorta di risposta» al saggio di Étienne Gilson del 1924 su La filosofia di San Bonaventura, tra il 2008 e il 2018 ha aggiunto una postfazione intitolata San Tommaso d’Aquino e l’ingresso di Dio in filosofia, nella quale accoglie la prospettiva gilsoniana di una complementarietà di Bonaventura con Tommaso d’Aquino («anch’io nel frattempo sono cambiato»).
Il risultato di questo incontro con il Tommaso d’Aquino di uno dei più importanti filosofi tomisti e storici della filosofia medioevale del Novecento come Gilson è l’idea secondo la quale Dio entra non solo nella teologia (con Bonaventura), ma anche nella filosofia (con Tommaso): e disegna quindi una «ontologia del sensibile » che forse costringe a rivedere l’affermazione heideggeriana di una sorta di “riduzione” della trascendenza al mondo. Il Dio di Tommaso, per Gilson, entra nel sensibile non per confondervisi, ma per elevarlo a Sé.