Francesco prepara la sua successione, immaginando dopo di sé un papa che si muova lungo il solco del suo pontificato. L’ultima mossa è la recente nomina di 21 nuovi cardinali, 16 dei quali sotto gli ottant’anni, in grado di partecipare al prossimo conclave e in sintonia con il suo pensiero. Con il concistoro di fine agosto, che ratificherà le nomine, saranno 83 – su 132 membri del Collegio cardinalizio – i principi della Chiesa in linea con il papa «venuto da molto lontano» e in grado di eleggere un successore a lui gradito.

IL GESUITA ARGENTINO ha usato, e sta usando, con lucida accortezza tutto il suo potere nella fase finale del suo pontificato – resa evidente dalle immagini di lui in sedia a rotelle – tenendo a mente quel che fece il suo predecessore. Fece il contrario, Papa Benedetto XVI. Uscì di scena nel 2013, quasi d’improvviso. Presi alla sprovvista, la curia e i cardinali più legati al papa tedesco non seppero, non poterono, preparare con lui una successione nella continuità.

Eppure, la storia dei due papi è nel segno di una collaborazione e di una reciproca comprensione personale tutt’altro che scontate, considerando l’evidente diversità tra i due. È una convivenza che è durata molto: Benedetto è da più tempo papa emerito di quanto sia stato papa. Una convivenza che l’argentino e il tedesco hanno dovuto inventarsi, da ogni punto di vista: personale, teologico, operativo, politico. Insieme hanno aperto la strada a una stagione della Chiesa cattolica e del suo governo centrale, dalla quale non si tornerà più indietro. Potrebbe, anzi, addirittura succedere che ci siano contemporaneamente tre papi.

Intanto, mentre la vita di Benedetto volge al termine, quella di Francesco si complica, per l’età, per problemi di salute sempre più invalidanti. I due vecchi capi della Chiesa vivono a poca distanza tra loro, dentro il Vaticano, uno nel convento di Santa Marta, condividendo lo spazio e la quotidianità con collaboratori e assistenti, l’altro nel Monastero, assistito da quattro pie donne di Comunione e liberazione, da una segretaria storica tedesca e dal sempre presente e intraprendente monsignor Georg Gänswein.

ED È IN QUELLO SPAZIO ristretto e protetto che i due papi hanno saputo trovare una coabitazione che rendesse plausibile la straordinaria novità a cui hanno dato vita. Il Monastero di Massimo Franco (Solferino, pp. 288, euro 17) ne dà molto bene conto, con un fine lavoro di indagine sulle personalità dei due protagonisti, che più distanti tra loro non si può, eppure in grado, per fede, per intelligenza, per senso della realtà, di consolidare insieme il percorso iniziato dall’incrocio delle loro vite.

Ma più che sul papa emerito e sulla sua relazione con il suo successore, il libro di Franco si sofferma sui rispettivi mondi di cui i due fanno parte e, più in particolare, sulle rispettive cerchie di consigliori e amici che, pure loro, soprattutto loro, hanno dovuto adattare comportamenti e atteggiamenti, pubblici e dietro le quinte, a una condizione senza precedenti, evidentemente complessa e carica d’insidie, nell’intento di farla apparire normale, nonostante tutto.

Nel libro di Franco, se i due protagonisti si muovono con disinvoltura nell’«inedito co-papato», perfino con un sottotesto di compiacimento reciproco e di autocompiacimento per esserci riusciti, sono le rispettive cerchie e «tifoserie» ad arrancare in questo nuovo complicato percorso per il Vaticano e per la Chiesa.

LA «CORTE» RATZINGERIANA e quella bergogliana sono lo specchio di due idee, due concezioni antitetiche della Chiesa cattolica di fronte alle sfide del mondo d’oggi ma sono anche, soprattutto, due centri di potere che si fronteggiano a poche centinaia di metri. Molto interessante entrare, con la destrezza e la competenza di Franco, in questo conflitto, così duro, da far persino intravedere il rischio di uno scisma, eppure finora miracolosamente tenuto dentro il perimetro delle mura vaticane, con rari bagliori esterni.

Una conflittualità che l’autore attribuisce parimenti ai due campi, con un’evidente inclinazione «colpevolista» verso il clan bergogliano, trascurando, nell’assegnazione delle responsabilità, che la Chiesa cattolica riconosce un papa, a cui si deve, se si è credenti e soprattutto si è membri della gerarchia, obbedienza assoluta. Mettendo questo principio in discussione, e alimentando la narrativa di due papi, i sostenitori di Ratzinger hanno finito per svilire la straordinaria portata della sua rinuncia, che è anche scelta di sottomissione al suo successore, destinata ad avere il massimo rilievo nella storia della Chiesa. E se l’intento era quello di condizionare Bergoglio e d’indebolire i suoi seguaci, ha avuto l’effetto di renderli più forti, tanto da essere in grado di preparare, loro sì, una successione nel segno della continuità.