Quando si parla di scienze esatte, si crede che alcune verità oggettive non possano essere materia di contesa.

La velocità di un raggio solare nel vuoto rimane 300.000 Km/s, non importa se a misurarla sia un uomo, una donna o un satellite. Sembrerebbe quindi del tutto legittimo concludere che, sia essa condotta da uomini o da donne, una ricerca scientifica arriverà comunque agli stessi esiti, sostenuti da formalismi di tutto punto e comprovata dalle analisi sperimentali. Se così è, perché l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha istituito nel 2015 la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, celebrata l’11 febbraio di ogni anno? Una prima benché superficiale risposta potrebbe essere l’esigenza morale e politica di una piena parità tra uomini e donne nell’ambito delle scienze. E, per molti versi, ce ne sarebbe ben donde.

Ancora oggi, l’eguaglianza rimane un obiettivo lontano, dato che si registra solo il 33,3 per cento di ricercatrici donne, mentre un numero ancora più esiguo ha raggiunto un eguale salario e una eguale posizione di potere a parità di prestazioni professionali. Il sito dell’Unesco precisa così che la Giornata è tesa a “promuovere l’accesso pieno ed eguale e la partecipazione alla scienza per le donne e per le ragazze”. Segue l’immancabile riferimento ai gradi di sviluppo e pace che una scienza più egualitaria sarebbe in grado di garantire. L’Agenda 2030 prospetta risultati siderei, come la piena eguaglianza tra ricercatori a dispetto delle loro differenze di sesso, genere, età, abilità ed etnia.

IL CANONE STEREOTIPATO

Nel corso degli ultimi decenni, epistemologhe e filosofe della scienza hanno manifestato scetticismo nei riguardi di un’eguaglianza formale in stile quota riservata – puntualmente aggirata nei concorsi, con le ragioni più fantasiose, là dove necessario. Queste studiose hanno indagato i modi meno visibili in cui la differenza di genere produce differenze sostanziali, cui nessuna procedura trasparente potrebbe da sé sola porre rimedio.

In primo luogo, le donne nella scienza vengono escluse dai progetti di ricerca nella misura in cui non si conformano allo spettro di valori da secoli associato loro, come la docilità, la prevalenza dell’intuito sul calcolo razionale, una maggiore propensione a farsi da parte quando le contingenze lo richiedono.

Insomma, l’inclusione delle donne nella ricerca è condizionata all’adesione a un canone femminile stereotipato, perlopiù prodotto dagli uomini, come si argomenta con amor di dettaglio nei lavori di Chiara Volpato. Non stupisce che, per un perverso gioco di specchi, le poche donne al potere, in accademia e fuori, incarnino un’autorità di matrice mascolina persino più prevaricatrice e ostinata.

In secondo luogo (e connesso al primo punto), alle donne si associano stili cognitivi, stati d’animo e affetti che sempre importano una qualche soggezione rispetto all’uomo; e su questo mi limito a raccomandare Il dominio maschile di Pierre Bourdieu, che ad avviso di chi scrive rimane uno dei testi decisivi per tracciare le molte vie in cui la donna contribuisce al dominio del maschio, specie in forza del suo sentirsi in dovere di affascinare o di sedurre o di prendersi cura o di manifestare sentimenti di materna protezione. Sulla scia di tutto questo, le donne si vedono spesso negare “autorità epistemica”, vale a dire la capacità di leadership nel dettare linee di ricerca e nel guidare i processi utili a perseguirle.

UNA DIFFERENTE CONCEZIONE

Eppure, credo che dietro la Giornata delle donne nella scienza risieda una ragione persino più urgente e forte dell’eguaglianza formale o sostanziale. O meglio, una ragione che spiega la necessità dell’eguaglianza sostanziale ben al di là dell’interesse, pur legittimo, di una sezione numericamente ragguardevole della popolazione mondiale. Si tratta della possibilità concreta, per le donne, di contribuire a una differente concezione della scienza rispetto a quella in cui ha di fatto predominato il punto di vista maschile.

Una visione ingenua della scienza è quella secondo cui una teoria scientifica restituisce una fotografia del mondo: lo descrive in modo neutro per indicare agli esseri umani come operare su di esso a certi fini. Ma nessuna teoria scientifica semplicemente “descrive” con quella neutralità e quell’oggettività che si attribuiscono alla Scienza da lettera maiuscola.

Ogni singola ricerca parte da una domanda, animata da certe urgenze e certe pressioni, assieme a interessi sociali, politici ed economici. L’articolazione della domanda, assieme alle sue urgenze, pressioni e interessi, guida la ricerca e incide sui suoi risultati.

L’epistemologia femminista, in fondo, non fa che chiedersi: a partire da quali motivazioni e interessi si cerca quel che si cerca? E quanto queste motivazioni e questi interessi determinano il corso della ricerca? Le indagini scientifiche vengono finanziate e promosse in base agli obiettivi di innovazione e di acquisizione tecnologica che promettono, mentre questi vengono valutati in base alle capacità di assicurare utili per gli investitori.

Per questa ragione, avviene di frequente che alcune teorie, per quanto cariche di intuizioni fertili e talora visionarie, vengano riposte nell’archivio di storia del pensiero scientifico solo perché promettono risultati pratici meno allettanti per chi finanzia.

LE TRE NECESSITÀ

Sia chiaro: non c’è nulla di intrinsecamente erroneo in tutto questo. Ma il punto di vista femminista contribuisce tanto più al sapere scientifico quanto più di esso offre un’immagine meno irenica. La scienza non è né autonoma né neutrale né imparziale.

Non è autonoma, perché è guidata da urgenze e interessi, spesso tanto deprecabili da doversi tener nascosti (si pensi alla connessione tra le esigenze belliche e gli sviluppi nella fisica novecentesca).

Non è neutrale, perché qualsiasi teoria scientifica porta a una qualche posizione morale e politica più o meno forte (si pensi al dibattito sull’inizio della vita umana o sulla presunta naturalità dei generi sessuali).

Non è imparziale, perché molte teorie scientifiche, com’è naturale, devono farsi tornare i conti anche in assenza di una completa certezza nelle evidenze sperimentali (si pensi alle ricerche sulle cure mediche urgenti).

Per questa ragione, la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza è innanzitutto un richiamo a una triplice necessità: realismo, dubbio e pluralismo. Realismo, perché la ricerca necessita di fondi e i fondi obbligano a certi percorsi e occludono il passaggio ad altri.

Dubbio, perché nessuna evidenza empirica potrà mai considerarsi ultimativa. Pluralismo, perché l’ottica femminista risponde alla duplice esigenza di realismo e dubbio: l’inclusione di punti di vista alternativi nel momento in cui si articola la domanda che guida la ricerca.

Insomma, l’11 febbraio, come ogni giornata di lotta femminile, non grida la rivendicazione di una parte. Auspica piuttosto l’uscita da uno stato di minorità che, nei fatti, grava ancora sui nostri vagheggiamenti di un mondo migliore, pronti a disgregarsi al primo ruggire di macchina motrice sul Grande raccordo anulare.