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Negli ultimi anni, la montagna italiana sta tornando a muoversi. Lentamente, ma nella direzione opposta allo spopolamento che l’ha segnata per decenni. Il Rapporto Montagne Italia 2025 dell’Uncem parla di un saldo migratorio positivo di circa 100mila nuovi residenti nelle Alpi e nell’Appennino settentrionale. È ancora poco, ma dietro il numero c’è un cambiamento più profondo: l’idea che si possa fare impresa anche in quota, che le aree interne non siano un margine da assistere, ma un luogo dove produrre valore. È il caso del Dolomiti Marketing Hub, nato per iniziativa di Federica Piazza, che dopo anni di lavoro all’estero ha deciso di tornare e costruire una rete per le microimprese della montagna. « Molte realtà qui offrono prodotti eccellenti, ma restano invisibili», racconta. « Mancano reti, formazione digitale, occasioni di scambio. Abbiamo voluto creare un punto di incontro, fisico e digitale, dove imparare e collaborare ». Il progetto – vincitore del grant da 15.000 euro di Imprese Spericolate, iniziativa della Fondazione Pietro Pittini in collaborazione con Meraki – desideri culturali e Magma srl impresa sociale – sta costruendo una piattaforma che offre corsi di marketing e branding, un calendario di eventi e una vetrina condivisa per promuovere le aziende del territorio. L’iscrizione annuale costa 120 euro e dà accesso a consulenze, workshop e opportunità di rete. Le imprese già aderenti sono 130, ma la rete potrebbe presto superare le mille. L’obiettivo è anche quello di aprire uno spazio permanente dedicato all’imprenditoria di montagna, per formarsi e lavorare insieme. In Carnia, il progetto Tipsy Bear affronta un tema quotidiano ma spesso trascurato: la mobilità sicura nelle aree interne. L’idea è di due studenti di 24 anni, all’ultimo anno di ingegneria aerospaziale e gestionale, Stefano Gregoratti e Davide Serafini. «Siamo partiti da una curiosità: come integrare tecnologie come la blockchain in modo semplice, con un impatto reale», spiega Gregoratti. «Viviamo in Friuli e sappiamo che la socialità passa soprattutto attraverso i locali, ma muoversi senza auto è complicato. C’è un problema di mobilità evidente: da qui nasce l’idea di collegare persone, locali e autisti per promuovere spostamenti sicuri». L’app crea una rete di bar e locali convenzionati e premia con ricompense digitali chi sceglie il consumo responsabile e il rientro sicuro. Un sistema che combina prevenzione e opportunità economica, con l’obiettivo di generare una piccola economia di comunità.
E poi c’è Re-Alps, che lavora su un’eredità materiale e simbolica della montagna: gli impianti sciistici dismessi, oltre 260 in tutta Italia secondo Legambiente, il 50% in più rispetto a cinque anni fa. Il fondatore Lucio Bosio, artigiano con studi in filosofia e un passato da educatore, ne ha fatto un laboratorio di rigenerazione partecipata. «Vogliamo ridare forma alle strutture abbandonate della mezza montagna – tralicci, piloni, seggiovie – trasformandole in manufatti utili e carichi di memoria», spiega. Il progetto nasce dall’incontro tra due realtà attive nella valorizzazione del dismesso: una orientata all’artigianato e una legata a Percorsi Spericolati. Si parte da una mappatura degli impianti inutilizzati, poi si coinvolge la popolazione. « Per noi – racconta Bosio – calare la soluzione dall’alto non è funzionale al benessere della comunità. Cerchiamo di capire cosa rappresenta quel luogo per chi ci vive, di raccogliere testimonianze e poi di trasformarle in manufatti condivisi». A volte le storie raccolte diventano il cuore del progetto. « Abbiamo intervistato una signora di più di ottant’anni che ci ha raccontato di quando, prima della seggiovia, faceva da “sherpa” per i turisti milanesi, portando le valigie in cima a spalla. È in queste memorie che si capisce il valore del lavoro che facciamo ». Dopo le interviste, arriva la pratica: laboratori di autocostruzione dove abitanti, artigiani e volontari si incontrano, tagliano, saldano, verniciano. «Ci si sporca le mani, si mangia insieme, si parla di passato e di futuro», dice Bosio. I manufatti nascono così: panchine, installazioni, arredi che conservano la cifra stilistica delle vecchie strutture ma cambiano funzione. Nella bergamasca, una panchina realizzata con i resti di un pilone di seggiovia è stata collocata accanto a un asilo, dove un tempo passava l’impianto per la cui costruzione è stata demolita una porta medievale. « Lì abbiamo voluto “chiudere il cerchio” – racconta – e ridare un senso a quel luogo, trasformandolo in spazio d’attesa e incontro». Il team di Re-Alps – sei persone provenienti da tutta Italia – lavora con un approccio che unisce architettura, artigianato e attivazione sociale. « Il recupero del dismesso – conclude Bosio – non è una questione estetica, ma una forma di cura del territorio ». Le esperienze di Dolomiti Marketing Hub, Tipsy Bear e Re-Alps raccontano un’Italia che prova a reinventarsi dal basso. Forse sono davvero imprese “spericolate”. Ma nel senso migliore del termine: progettualità che si assumono il rischio di cambiare le cose.





