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Alla XVI Assemblea generale tra i 464 delegati ci saranno 85 donne. Ad aver diritto di voto saranno in 365, di cui 54 donne L’arcivescovo Castellucci: riflettere sullo stile di comunione, partecipazione e missione è uno degli obiettivi prioritari delle assise
È il giorno del Sinodo. O, meglio, è il giorno del via alla XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi. 464 partecipanti, 365 membri tra cui 54 donne votanti si confronteranno fino al 29 ottobre sulla sinodalità della Chiesa, declinata secondo tre parole chiave: comunione, partecipazione, missione. L’evento, come ovvio, avrà una forte connotazione spirituale, antidoto anche al rischio di un abbassamento del livello della discussione e richiamo alla centralità della Parola e della preghiera nella vita della comunità ecclesiale. Più che definire un’agenda di impegni, infatti, ci si interrogherà sullo stile della propria presenza nell’oggi del mondo.
« Di fatto – spiega monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale – l’argomento è la Chiesa, se è vero come ripete papa Francesco che Chiesa e Sinodo sono sinonimi. Non si tratta cioè di confrontarsi su aspetti e ambiti della vita cristiana, come in altri Sinodi (presbiteri, laici, religiosi, evangelizzazione, famiglia, eucaristia, giovani…), ma sull’assetto complessivo della Chiesa considerata nelle sue dinamiche fondamenta-li, che sono appunto la comunione, la partecipazione e la missione. Un Sinodo più sugli stili per essere Chiesa che sui soggetti o sui contenuti dell’esperienza di Chiesa.
Un Sinodo dunque che riflette sul modo stesso di essere Chiesa.
Appunto. E non è un argomento secondario, come potrebbe sembrare, perché condiziona nel bene e nel male tutta la vita e l’attività della Chiesa. Un esempio, che è ben presente nello Strumento di lavoro del Sinodo generale: se l’autorità
nella Chiesa, comprese le modalità con cui si giunge alle decisioni, non è bene articolata e partecipata, si rischiano due derive: o la comunità cristiana diventa “monarchica”, per cui alla fine solo uno – parroco, vescovo, papa – decide, senza tenere conto delle opinioni degli altri; oppure al contrario la comunità diventa “democratica” e tutto viene sottoposto alla votazione, con gli inevitabili schieramenti, non sempre liberi da pregiudizi e interessi di parte. Una Chiesa sinodale utilizza il voto senza trasformarlo in dogma e assegna ai pastori il discernimento finale senza prescindere dalla consultazione di tutti i fedeli.
Il Papa vuole che il Sinodo non sia un evento eccezionale ma uno stile permanente.
L’evento passa, lo stile resta. C’è stata nel mondo una richiesta corale di mantenere lo stile sinodale come prassi permanente della Chiesa. Se si risolvesse in una celebrazione, per quanto solenne, finirebbe per tradire le attese.
La Chiesa italiana arriva a questo evento forte di una partecipazione nei primi due anni di Cammino sinodale forse persino inaspettata.
Sì: circa mezzo milione di persone, quasi tutti operatori pastorali, si sono coinvolti: e non è un numero da poco. Quello che però mi ha colpito di più è stata la convergenza su alcune “parole”, ricorrenti e quasi insistenti: accoglienza, semplicità, prossimità, accompagnamento, centralità della Parola di Dio, importanza delle relazioni… sembrano dei sogni, e in parte lo sono, ma corrispondono perfettamente alla Chiesa disegnata da papa Francesco dieci anni fa in “Evangelii gaudium”. Ora si tratta, in questo anno di discernimento sapienziale, di individuare i “ponti” per poter raggiungere queste sponde.
Dopo la fase narrativa centrata sull’ascolto siamo entrati nella fase sapienziale dedicata al discernimento. In che modo le due fasi si collegano tra loro?
Nella prima, attraverso i racconti, sono emerse esperienze, idee, critiche e proposte. Ora dobbiamo andare a fondo e concentrarci su alcuni nuclei che riguardano quegli stili di Chiesa
a cui facevo cenno: la prossimità come missione, attraverso nuovi linguaggi e occasioni formative incentrate sulla parola di Dio; la corresponsabilità dei laici nelle comunità e la necessità di rivedere alcune strutture appesantite.
Si tratta insomma di approfondire quanto emerso nel biennio narrativo e di cogliere, insieme, ciò che lo Spirito ci sta dicendo.
Tornando alle assise di questo mese di ottobre, la novità che colpisce di più è la possibilità data alle donne di votare. Cresce la partecipazione femminile alla vita della Chiesa.
Sì, e cresce proprio nella linea della “corresponsabilità”: non sarebbe possibile esercitarla se non vi fosse anche una partecipazione ai processi decisionali. Credo che la stessa apertura dei ministeri del lettorato e accolitato alle donne – così papa Francesco li rende davvero ministeri fondati sul Battesimo vada in questa direzione.