«L’arte è un modo di pensare e di fare domande. Non è tale senza autenticità di propositi e memoria del passato». Rosalind Krauss, critica americana di fama internazionale già docente di Storia dell’arte alla Columbia di New York, ha ricevuto venerdì a Berna il Premio Balzan per aver saputo affermare il contemporaneo come campo di analisi concettuale e di ricerca accademica. «Ho fatto il mio lavoro – spiega – perché da giovane mio papà mi portava alla National gallery di Washington a vedere Rembrandt e Vermeer, mentre a me colpivano Picasso e Braque e avrei voluto il vocabolario per spiegargli l’arte moderna. Ho desiderato le parole per aprire la mente delle persone e sedurle. Ogni dipinto, a partire dai disegni rupestri, è un mistero da spiegare, un racconto del nostro tempo che viene compreso da tutti solo se ne coglie davvero il senso».
Musei e gallerie. «Un capolavoro è tale se lo è per tutti, non solo per una persona. Per questo servono musei e gallerie che avvalorino l’arte. È importante che restino luoghi di cultura e non di intrattenimento
Le avanguardie. «Non so se ci siano ancora, ma c’è chi usa la memoria per esempio come continuazione della tradizione della scultura. Richard Serra è un grande esempio per come sa creare un senso di sfida con le sue ondulazioni. Uno dei progetti di Trump è creare un parco sculture di eroi di guerra: esiste qualcosa di più disgustoso in un periodo di conflitti?».
New York. «Tra Mamdani e Cuomo ho votato per il secondo, perché è una città complessa da amministrare. Il primo ha promesso autobus gratis, che significa la bancarotta».
America e Cina. «Gli Usa sono stati il centro dell’avanguardia perché avevano l’egemonia. Ora non è più così. Ci sono artisti europei importanti come Gerhard Richter e Marcel Broodthaers che sono il mio focus, ma non presumo di parlare per tutti. Bisogna guardare alla Cina e al Medio Oriente, luoghi di cui però so pochissimo».
L’artista. «Non penso sia importante conoscere l’autore, perché le opere sono come testi che si leggono da soli. Joseph Beuys e Julian Schnabel però mi sembrano fake. Gli artisti che vogliono distruggere l’arte non mi convincono. Nonostante io sia una teorica del formalismo, che privilegia come viene espresso il messaggio rispetto al contenuto, preferisco chi costruisce. Un artista dev’essere autentico e avere la memoria della tradizione da cui viene e considerarla importante. Il peggiore in questo senso per me è Joseph Kosuth e la sua arte concettuale, che mira solipsisticamente a dimostrare che l’arte non esiste escludendo il visitatore».
L’impegno. «Fa parte dell’arte. Il Futurismo certamente è stato un movimento anche politico. E oggi l’opera di Gerhard Richter è un tentativo di riconciliazione con il passato tedesco nazista».
L’opera. «L’artista cerca sempre l’originalità, anche attraverso nuovi mezzi. L’arte moderna nasce dal rigetto del realismo. Sto scrivendo un libro su Roland Barthes. Charms and demons (Chicago university press), in cui questi ultimi vengono dalla difficoltà di abbandonare l’analogia e il realismo. Una tendenza che seguono in qualche modo pure l’arte cibernetica, digitale e AI».
Il Pantheon. «Da ragazza amavo Paul Klee per la sua vivacità, oggi stimo la serietà di William Kentridge e Gabriel Orozco, i cui lavori sono eccezionali. Ricordo poi sulle scale della Phillips collection di Washington quattro meravigliose tele di Mark Rothko dai colori che uscivano quasi dalle opere per abbracciarmi».
Le performance alla Marina Abramovic. «Credo nell’importanza del corpo, delle forme e dell’inconscio ottico, ma trovo che i perfomer abbiano spesso fisici di basso livello. Suonerà snob, ma Abramovic mi sembra una casalinga di periferia».
Le installazioni. «A volte sono grandiose come quelle di Anish Kapoor, assai intense e materiche».
La fotografia. «Negli anni ’50 divenne commerciale, vintage, stampata dai fotografi con l’idea che la mano dell’artista contasse e fosse trasferita nella copia in qualche modo in originale. La fotografia è entrata così tra le belle arti. Però Walter Benjamin ha parlato di arte nell’era della riproduzione meccanica, e la fotografia ne fa parte. L’idea dell’originale dunque mi convince poco, e nell’era del digitale e dell’AI ancora di meno. Di un dipinto, di un disegno e di una scultura si capisce più facilmente come e da chi vengono prodotti».







