Riempire piazza del Popolo a difesa della sanità pubblica non era un obiettivo semplice. Specie in un sabato mattina di solleone romano. Il centinaio di associazioni e reti territoriali che hanno aderito a «Insieme per la Costituzione», guidato dalla Cgil, ci sono riusciti dimostrando la centralità del tema, percepito in maniera trasversale sia dai lavoratori del settore che dai cittadini utenti.
Il lungo serpentone che scende da piazza della Repubblica è in gran parte rosso. Non mancano però spezzoni di altri colori a testimonianza di presenze importanti come Emergency, Arci, il viola dei giovani dell’Udu e della Rete degli studenti medi, il Gimbe e Medicina democratica. Con una comparsata anche di Giuseppe Conte e di Elly Schlein.

DENTRO IL CORTEO IL SARCASMO – molti i cartelli con epitaffi e scheletri con la scritta “Ero in lista d’attesa” – andava di pari passo con la denuncia dei vergognosi numeri della sanità italiana – 4 milioni di persone che ha rinunciato alle cure – e dei profitti di quella privata.

Sul palco che recava enorme l’articolo 32 della Costituzione si sono succedute le testimonianze di tante lavoratrici del settore con turni massacranti per la carenza di personale e salari da fame, passata la retorica degli «eroi nella pandemia».

MOLTO INTERESSANTE l’intervento di Edoardo Turi di Medicina Democratica che ha rimesso in fila l’accanimento della politica contro la sanità pubblica e ha chiesto «ai sindacati di non firmare più contratti che prevedono la copertura sanitaria privata».

Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe, già nel 2013 lanciò la campagna “Salviamo il nostro sistema sanitario”. «I dati dimostrano che il collasso del Sistema sanitario nazionale ci sta portando dritti verso un disastro sanitario, economico e sociale» che sarà acuito «dal Ddl sull’autonomia differenziata richiesta proprio dalle regioni con le migliori performance sanitarie che amplificherà le disuguaglianze regionali. Per questo abbiamo chiesto in audizione al senato di escludere la tutela della salute dalle materie», annuncia tra gli applausi Cartabellotta.

NEL COMIZIO CONCLUSIVO Maurizio Landini ha subito chiarito il significato della manifestazione: «Questa giornata non è di testimonianza, è l’inizio di una battaglia per applicare l’articolo 32 della costituzione. È ora di dire basta, ci siamo stancati: basta ai tagli e alle nostre tasse usate per favorire la sanità privata. I tagli colpiscono i più deboli: gli anziani, i non autosufficienti, la sanità mentale, i consultori, la sicurezza sul lavoro. Quando nei pronto soccorsi si lavora a gettone siamo alla vergogna. Negli ultimi vent’anni sono stati tagliati 40 miliardi alla sanità pubblica, nel Def c’è scritto che nei prossimi tre anni la spesa diminuirà ancora», sottolinea il segretario della Cgil.

L’attacco non è solo al governo: «Poche balle, non è il momento dei tavoli, non ci servono per dire che esistiamo». E ancora: «I tavoli con il governo sono finti». Il segretario della Cgil ringrazia i tanti sindaci scesi in piazza e rilancia subito: «Da lunedì dobbiamo aprire vertenze su tutto il territorio, allargare la mobilitazione. Dobbiamo rivolgerci alle Regioni e ai Comuni di battersi con noi per togliere i tetti di spesa, che bloccano le assunzioni e aprono la strada ad appalti e privatizzazioni».

Con ottimismo: «Qui in piazza più che rabbia vedo tanta determinazione a ottenere risultati per assicurare a tutti il diritto alla salute».

La chiusura è tutta sul prossimo appuntamento già fissato da «Insieme per la Costituzione»: «Contro chi pensa che tutto si risolve cambiando la Costituzione, il 30 settembre saremo di nuovo qui», ricordando che la Cgil ha «sempre difeso la Costituzione, sia con la destra di Berlusconi sia con il centro-sinistra di Renzi, e non permetterà neanche a questo governo di poterla cambiare». La manifestazione sarà contro l’autonomia differenziata. «Già adesso abbiamo 20 Regioni e 20 diversi sistemi sanitari. La modifica del Titolo V, fatta vent’anni fa da un governo di sinistra, è stata un errore clamoroso: come non eravamo d’accordo allora, a maggior ragione non siamo d’accordo oggi con un sistema che aumenta ancora di più le diseguaglianze nel paese».