
RASSEGNA INTERNAZIONALE – n.2 / 2 luglio 2025
2 Luglio 2025Santa Maria della Scala: trasformazione o delega?
L’articolo di Siena Trasmissioni su Chiara Valdambrini riassume una breve intervista televisiva di undici minuti. Pochi, ma sufficienti a restituire una narrazione entusiasta e rassicurante sul futuro del Santa Maria della Scala, che però evita ogni confronto vero sui contenuti.
Si ripetono formule come “complesso museale tra i più importanti d’Europa” o “guida ambiziosa”, senza dati, esempi, riferimenti concreti. Anche l’“Anno del Dialogo” resta un titolo efficace ma generico: con chi si dialogherà? con quali strumenti, in che sedi, con quali tempi? Siena ha un tessuto culturale ricco ma frammentato. Parlare di dialogo senza articolare contenuti rischia di ridurre tutto a comunicazione, senza relazione.
Il nuovo piano di recupero del Santa Maria della Scala affida la trasformazione di metà del complesso a tre importanti studi internazionali – OMA, Hannes Peer, LAAN – coordinati da Luca Molinari. Si tratta di professionisti di alto profilo, ma l’articolo non si interroga su un aspetto cruciale: chi oggi esercita la committenza culturale su questo progetto? Qual è la visione che guida, orienta, decide?
Tutto appare come delegato. La città – il Comune, l’Università, le istituzioni culturali – non sembrano protagonisti attivi di un processo tanto rilevante. Senza una committenza forte, senza una direzione culturale esplicita, anche il miglior progetto architettonico rischia di rispondere a logiche esterne: turistiche, estetizzanti, funzionali, ma non necessariamente legate alla memoria storica e al futuro urbano di Siena. Il Santa Maria della Scala non è un contenitore neutro. È un simbolo civico. E affidarne la trasformazione senza confronto pubblico è una rinuncia implicita di responsabilità.
L’annuncio della mostra su Lorenzo di Pietro, detto Il Vecchietta, è tra i passaggi più significativi dell’intervista. Artista centrale del Quattrocento senese, profondamente legato al Santa Maria della Scala, sarà oggetto di una rassegna co-curata da Giulio Dalvit della Frick Collection. È un’occasione importante, che può valorizzare il patrimonio con respiro internazionale. Ma qui servono domande: quali opere? quali attribuzioni? quale lettura critica? L’approccio anglosassone, molto attento al contesto sociale e funzionale delle opere, rischia talvolta di ridurre la complessità formale e simbolica dell’arte sacra senese. Il Vecchietta è artista di soglia: tra devozione, invenzione plastica, potere civico e ospedale. Per restituirlo davvero al presente serve una regia culturale forte e consapevole. Siena non può limitarsi a prestare lo spazio: deve orientare il racconto.
L’articolo elogia Path to the Sky di Jacob Hashimoto come felice incontro tra arte contemporanea e spazio storico. Ma l’installazione – per quanto elegante – non dialoga con il luogo: lo decora, lo addolcisce, non lo interroga. Se il contemporaneo serve solo ad abbellire, senza provocare, senza aprire ferite, allora è solo un alibi estetico. Il Santa Maria della Scala merita proposte che entrino in conflitto col passato, non solo che lo incornicino.
L’intervista condotta da Simona Sassetti si muove su un piano molto prudente. Le domande sono corrette ma non scalfiscono la superficie. Nessun accenno ai nodi critici, alle scelte difficili, ai rischi. Anche in undici minuti si può sollevare un dubbio, chiedere un dettaglio, interrompere la retorica del “fare bene”. Invece si sceglie il tono affabile, l’accordo implicito. Il problema non è il tempo, ma il grado di complicità con il racconto istituzionale.
Il Santa Maria della Scala è un luogo troppo importante per essere raccontato in modo neutro. È al centro di una trasformazione urbana, culturale e politica che riguarda tutta Siena.