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Le ricadute finanziarie dell’inchiesta su Caltagirone, Delfin e MPS: effetti su MPS, Mediobanca e Generali
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La Procura di Milano ha iscritto fra gli indagati Francesco Gaetano Caltagirone, Francesco Milleri e Luigi Lovaglio nell’indagine sulla scalata di Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca. L’operazione, conclusa con la maxi Offerta pubblica di scambio da 13,5 miliardi che ha portato MPS a ottenere la maggioranza dell’istituto milanese, è ora riletta dagli inquirenti alla luce di due ipotesi di reato: aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza.
Secondo la ricostruzione, la scalata non sarebbe stata il risultato di mosse autonome e indipendenti, ma l’esito di una strategia concertata tra i tre protagonisti, rimasta fuori dal perimetro informativo di CONSOB, BCE e IVASS. Al centro dell’indagine c’è il sospetto di un patto riservato, mai comunicato al mercato, che avrebbe coordinato gli acquisti di azioni MPS e gli interventi successivi su Mediobanca, alterando la trasparenza complessiva dell’operazione.
Il profilo degli indagati dà la misura della portata del caso. Caltagirone è uno dei principali attori del capitalismo italiano, con partecipazioni in settori strategici e un peso rilevante in Generali. Milleri guida Delfin, azionista cruciale della stessa compagnia assicurativa. Lovaglio, alla guida di MPS, ha pilotato la ricapitalizzazione dell’istituto senese e la successiva offensiva su Mediobanca. Il loro intreccio d’interessi tocca quindi tre nodi sensibili del sistema: la banca d’affari milanese, la compagnia assicurativa triestina e MPS, ancora legata agli impegni presi con Bruxelles dopo il salvataggio pubblico.
La vicenda richiama inevitabilmente altri momenti critici della storia finanziaria italiana, quando patti di sindacato e intese informali hanno influenzato operazioni di mercato presentate come ordinarie. L’elemento nuovo, oggi, è il ruolo di MPS: una banca che porta ancora addosso il peso della vigilanza europea rafforzata e degli obblighi di trasparenza derivanti dagli aiuti di Stato. Che una scalata di queste dimensioni possa essere stata preparata attraverso accordi riservati solleva interrogativi sulla capacità del sistema di controllo di intercettare tempestivamente movimenti di potere ad alto impatto.
Sul piano industriale, la combinazione MPS–Mediobanca era stata presentata come una soluzione per rafforzare entrambi gli istituti e semplificare gli assetti di Generali. L’apertura dell’inchiesta rimette ora in discussione quell’impianto: aumenta l’incertezza sulle strategie future, apre scenari di conflitto tra gli azionisti rilevanti e spinge le autorità europee a valutare con maggior attenzione l’intero schema.
Le accuse, allo stato, non equivalgono a responsabilità accertate. Ma la questione supera i profili individuali. Il punto centrale è la tenuta del principio di trasparenza nel sistema finanziario italiano, in cui le relazioni personali e i legami fra grandi gruppi continuano a pesare quanto, se non più, delle logiche di mercato. L’inchiesta di Milano, comunque evolverà, costringe a interrogarsi su quanto siano effettivamente solide le garanzie di un mercato aperto, vigilato in modo efficace e realmente comprensibile per gli investitori.
Se servirà a fare chiarezza sui meccanismi di potere che ancora attraversano la finanza italiana, questa vicenda potrà avere un valore che va oltre il singolo caso giudiziario. È qui che si misura la credibilità complessiva del sistema: nella capacità di rendere visibili le dinamiche che contano davvero, senza lasciare zone d’ombra dove si decidono operazioni destinate a ridisegnare l’equilibrio del paese.





