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Siena è senza progetto perché la politica ha vissuto di rendita sul Monte, senza preparare il dopo.
Per anni si è scelto di affidare tutto alla banca: occupazione, welfare, cultura, persino identità cittadina. Una dipendenza comoda, che ha alimentato l’illusione di una solidità eterna.
Oggi quella stagione è finita. Mps non appartiene più alla città, le decisioni strategiche si prendono altrove, tra Milano e Roma. A Siena restano i segni di un passato glorioso, ma non un motore economico capace di trainare il futuro.
La politica, invece di progettare alternative, ha preferito difendere lo status quo, rinunciando a investire su ricerca, università, innovazione, industria e cultura come settori autonomi. Così, al venir meno della banca, la città si è trovata nuda.
Scaramelli esulta parlando di Siena “al centro dello scenario bancario nazionale”, ma la realtà è un’altra: non è Siena a vincere, è Mps – ormai lontana dalla città – a muoversi tra Milano e Roma. La città resta ai margini, spettatrice indifferente.
Attribuire al Monte “forza e coraggio” è una narrazione comoda: il vero salvataggio è stato deciso e finanziato da Roma e Bruxelles, non da una presunta autonomia della banca. Né l’acquisizione di Antonveneta ieri, né le mosse su Mediobanca oggi cambiano le problematiche di Siena, che rimangono inalterate: assenza di visione, debolezza economica, dipendenza dal passato.
Elogiare i dipendenti è giusto, ma non risponde alla domanda vera: cosa rimane a Siena? Per ora solo un grande patrimonio culturale, un’università da rilanciare e un futuro tutto da inventare. Parlare di “Siena protagonista” è propaganda: la partita si gioca altrove e la città non ha ancora un ruolo né una regia.
Il punto non è celebrare il Monte quando conquista nuovi spazi, ma chiedersi cosa rimane a Siena e quale direzione intraprendere. Senza una regia forte e una visione condivisa, il rischio è che la città scivoli in un ruolo marginale, ridotta a vivere di memoria e di turismo.
Il vero nodo da affrontare è la costruzione del futuro.