
Indagare Arbasino: il Novecento senza schemi di Stile Alberto
14 Novembre 2025
Boston – More Than a Feeling
14 Novembre 2025Nel 1869, nel pieno svolgimento delle Guerre indiane, secondo la testimonianza recata dal tenente Charles Nordstrom, che era presente alla dichiarazione di Tosawi, capo indiano della tribù Comanche: «Tosawi buon indiano», Philip Henry Sheridan (1831-1888), incaricato dal presidente Johnson di reprimere le rivolte dei nativi indiani delle Grandi Pianure – e reduce dall’aver condotto spietate operazioni col sistema della ‘terra bruciata’ contro le tribù Kiowa, Cheyenne e Comanche – rispose alle sue parole: «Gli unici buoni indiani che abbia mai visti erano morti»; Sheridan era destinato nel 1883, grazie ai suoi «brillanti» successi militari, ad esser nominato Comandante generale dell’Esercito degli Stati Uniti.
La frase, presto sintetizzata nel motto «L’unico buon indiano è un indiano morto», ebbe immediata e durevole fortuna. Gli storici convengono nel datare all’anno 1890 la definitiva cacciata degli indiani dalle terre dei loro avi.
La data porta il sigillo d’un ennesimo eccidio. Il 29 dicembre 1890 sulla sponda del torrente Wounded Knee, nel South Dakota, per ordine del colonnello James Forsyth e del maggiore Samuel Whitside del Settimo Reggimento di Cavalleria furono massacrate alcune centinaia di Sioux Lacota inermi. Donne, bambini, vecchi.
Sfoglio le fotografie di Edward Sheriff Curtis (1868-1952) eseguite tra il 1895 e il 1928 e da lui via via raccolte nei venti volumi di The North American Indian l’opera che venne pubblicando, titanica impresa, tra il 1907 e il 1930. Nel 1911 (erano già stampati i primi cinque volumi ed era in uscita il sesto dedicato ai Black Feet, agli Cheyenne e agli Arapaho) Curtis dichiara al New York Times che quelle persone, le ultime scampate allo sterminio e in via di estinzione, si mostrano a lui «non soltanto disponibili, bensì addirittura ansiose di collaborare, perché hanno capito che questa opera sarà una testimonianza perenne del loro popolo».
Il presidente Theodore Roosevelt, nel 1906, aveva scritto nella Premessa che apriva il primo libro della serie: «Curtis è un osservatore e un artista. Le sue immagini sono veri e propri quadri e non semplici fotografie. Non soltanto ha osservato gli appariscenti aspetti esteriori della loro vita, ma ha anche potuto scorgere qualche squarcio del loro più segreto lato spirituale, dai cui intimi recessi tutti i bianchi rimangono esclusi».
Parole del presidente Roosevelt stilate nell’ottobre del 1906, nell’anno in cui gli viene conferito il Premio Nobel per la pace, da accostarsi ad altre pronunciate nel 1886 («Io non arrivo al punto di pensare che gli unici indiani buoni siano gli indiani morti, ma credo che nove su dieci lo siano, e non dovrei indagare troppo a fondo sul decimo») e a quelle che restano scritte nel suo La conquista del West (1889-1896) quando avverte che gli indiani sono «vagabondi, pigri, sporchi e ubriaconi; i pionieri li disprezzavano e li temevano al contempo, perché quelle creature squallide e spregevoli avrebbero potuto in qualsiasi momento, trasformarsi in un nemico senza pari quanto a ferocia, astuzia e spietata crudeltà».
Sfoglio le immagini di The North American Indian. Osservo il ritratto di High Hawk, Grande Falco, Sioux della tribù Brulés. In piedi, di tre quarti, sullo sfondo la prateria. Ecco in figura, ad evocare Pico della Mirandola, la dignità dell’uomo. La didascalia di Curtis ci dice che indossa un abito da cerimonia. Grande Falco, ci informa, è lo storico della tribù, ne conserva le memorie e ne aggiorna gli annali. Le armi dei bianchi rivolte contro il suo popolo ne han fatto un guerriero: «copricapo di penne d’aquila e bastone di guerra con l’estremità di pietra».
Ecco Grande Falco vivo davanti a me, sancisce l’umana dignitas cento trenta cinque anni dopo Wounded Knee, in questo anno 2025 quando da mesi e mesi, e sono ormai ventiquattro e passa, ogni giorno giungono notizie dei quotidiani eccidi perpetrati a Gaza su vecchi e bambini e donne inermi, vittime che da centinaia si van facendo migliaia e migliaia, uccise o costrette alla morte per fame da chi, secondo i dettami del generale Philip Henry Sheridan, agisce con lo scopo dichiarato di estinguere un popolo.



