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7 Novembre 2025Siena, centrodestra in affanno: il dopo-Tucci apre la crisi della giunta Fabio tra veti, ambizioni e questione di genere
L’elezione di Enrico Tucci in Regione ha innescato a Siena una crisi politica che va ben oltre la semplice sostituzione di un assessore. Il vuoto lasciato dal rappresentante di Fratelli d’Italia ha fatto emergere tutte le tensioni interne alla maggioranza che sostiene la sindaca Nicoletta Fabio, mettendo in luce quanto fragile sia l’equilibrio su cui poggia il governo cittadino.
A quasi un mese dal voto, la giunta non ha ancora un nuovo assessore e il centrodestra appare spaccato tra ambizioni personali, veti incrociati e rivalità di partito. La sindaca, decisa a non subire imposizioni, ha escluso un “rimpastissimo” e ha difeso con fermezza l’assessora al turismo Vanna Giunti, sostenuta dal dirigente Roberto Barbetti, figura chiave per la rinascita culturale e turistica della città. Ma la questione politica si intreccia ora con un altro tema cruciale: quello delle quote di genere.
La giunta Fabio conta attualmente tre donne su otto componenti. Se al posto di Tucci venisse nominato un uomo, la rappresentanza femminile scenderebbe sotto la soglia minima prevista dalla normativa regionale sulla parità di genere. Un errore che potrebbe esporre il Comune a un rischio di illegittimità formale e a un ricorso immediato. Per questo, nelle ultime riunioni, la sindaca avrebbe insistito affinché il nuovo assessore fosse una donna, trovando però resistenze dentro Fratelli d’Italia, dove i rapporti di forza si sono fatti incerti e gli equilibri di corrente prevalgono sui criteri di competenza.
All’interno del partito di Giorgia Meloni, la gestione del dopo-Tucci ha assunto i tratti di una guerra per bande. I nomi circolati – Mauro Marruganti, Francesco Palmigiani, i consiglieri Bernardo Maggiorelli e Francesca Borghi – si sono bruciati uno dopo l’altro. Restano in campo due figure: Elena Burgassi, avvocata e presidente di Siena Casa, ex Forza Italia, apprezzata da Tucci, Francesco Michelotti e Alessandro Manganelli, e quest’ultimo, capo di gabinetto del sindaco e uomo di fiducia di Michelotti, con una lunga militanza nella destra storica.
La candidatura di Elena Burgassi avrebbe il vantaggio di sanare il problema delle quote rosa e di proiettare un’immagine più inclusiva della giunta, mentre Alessandro Manganelli rappresenterebbe la scelta di continuità politica e di controllo interno, ma aggraverebbe lo squilibrio di genere e aprirebbe un nuovo fronte di scontro dentro la coalizione. Se dovesse entrare lui, infatti, resterebbe vacante il ruolo di fiduciario del sindaco, per il quale è già stato fatto il nome del perugino Mauro Regni, destinato forse anche a occuparsi della comunicazione istituzionale.
La sindaca, che ha rivendicato fin dall’inizio la propria indipendenza rispetto ai diktat di partito, si trova ora in una posizione difficile: deve conciliare la tenuta della maggioranza, il rispetto delle norme e la credibilità amministrativa. Sullo sfondo restano le tensioni con Sena Civitas e il suo fondatore Claudio Marignani, sempre più marginalizzato, e la prospettiva del rinnovo dei vertici della Fondazione Mps, che promette di ridisegnare ancora una volta le alleanze cittadine.
Il caso Tucci è diventato il simbolo di una transizione incompiuta. La vittoria del centrodestra alle amministrative non si è tradotta in una governance stabile, ma in una somma di micro-equilibri precari. Siena vive oggi una stagione politica in cui la strategia è sostituita dalla tattica, e i dossier cruciali – economia, cultura, università, turismo – restano sospesi tra inerzia e conflitto.
La questione delle quote rosa, esplosa per necessità più che per convinzione, rivela un paradosso: la parità di genere, anziché principio ispiratore, diventa strumento tecnico per evitare ricorsi. È un segnale della povertà politica di un sistema che fatica a pensare la rappresentanza come valore, non come obbligo.
La nomina del nuovo assessore, attesa a breve, sarà un test decisivo per la tenuta della giunta Fabio. Più che il nome in sé, conterà il messaggio politico che uscirà da Palazzo Pubblico: se prevarrà la logica della spartizione e dei veti, Siena resterà intrappolata nella sua paralisi; se invece emergerà una scelta coerente, rispettosa delle persone e delle competenze, la città potrebbe tornare a credere in un’amministrazione capace di governare e non solo di sopravvivere.
In controluce, il caso del dopo-Tucci non riguarda solo il centrodestra: è lo specchio di una città che fatica a riconoscersi in un progetto comune, dove il confronto politico si è trasformato in una contabilità di ruoli e appartenenze. Siena sembra chiedere non un’altra giunta, ma un nuovo senso del governo, fondato su responsabilità, trasparenza e visione.
E in questo scenario, riemerge anche la figura di Alfredo Monaci, abile nel muoversi tra politica e finanza senese, spesso più preoccupato di consolidare la propria influenza che di favorire un reale rinnovamento. Il suo nome torna ciclicamente ogni volta che si parla di equilibri interni alla Fondazione Mps, come se da quel crocevia continuasse a passare una parte decisiva del potere cittadino. Ma più che un garante, Monaci appare oggi come il simbolo di un sistema che non vuole mai davvero cambiare: capace di adattarsi a ogni stagione politica, purché nulla lo metta in discussione.





