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Dopo quindici anni di salvataggi Mps torna agli utili, lo Stato riduce la sua quota e la finanza guarda a Milano e all’Europa. Per Siena la sfida non è più custodire la banca, ma costruire un futuro fatto di competenze, industria, ricerca e cultura.
Monte dei Paschi è stato per secoli il cuore dell’identità economica e sociale di Siena. Ma oggi il rapporto storico tra la città e la sua banca vive una fase nuova. Lo Stato, che aveva assunto il ruolo di azionista di maggioranza, è sceso all’11%. Mps ha rimesso in ordine i conti e ora guarda a nuove operazioni di mercato, come quella su Mediobanca. Intanto, il sistema bancario italiano si è ridisegnato: accanto a Intesa Sanpaolo e UniCredit, un terzo polo si muove già nell’orbita di Société Générale. È il segno che il baricentro della finanza si sposta sempre più verso Milano e le grandi piazze europee.
Una lunga stagione di salvataggi
La crisi di Mps è stata anche una vicenda politica, attraversata da governi diversi:
- 2009 – Tremonti bond (1,9 miliardi) con il governo Berlusconi;
- 2013 – Monti bond (4 miliardi) con l’esecutivo Monti;
- 2016–2017 – Ricapitalizzazione precauzionale (5,4 miliardi) gestita dal governo Gentiloni e autorizzata da Bruxelles;
- 2022 – Aumento di capitale (2,5 miliardi) che portò lo Stato al 64% delle azioni, con il governo Draghi;
- 2023–2024 – Avvio della privatizzazione, che con il governo Meloni ridusse la quota pubblica sotto il 40%.
Oggi, nel 2025, lo Stato è sceso all’11% e la banca non parla più di salvataggi ma di crescita: la nuova fase industriale si è aperta con l’offerta pubblica di scambio (OPS) su Mediobanca, mossa che colloca Mps dentro il grande gioco del consolidamento bancario europeo.
Ma al di là dell’operazione, c’è un punto che riguarda Siena da vicino: indipendentemente dall’OPS, la città avrebbe dovuto da tempo compiere scelte strategiche, senza limitarsi a galleggiare sull’esistente. Se pure in ritardo, resta urgente imboccare un percorso chiaro di diversificazione, per non restare ostaggio delle decisioni prese altrove.
Siena davanti a una svolta
La domanda è dunque: cosa accadrà a Siena, città che da secoli intreccia la sua identità con la finanza, e che oggi si ritrova stretta tra Roma, dove si decidono le regole, e Milano, dove batte il cuore dei mercati?
Siena non può più pensarsi come la città di una sola banca: dovrebbe ripensarsi come un luogo di competenze, non come un satellite finanziario. È realistico che sul piano bancario rimangano funzioni selettive — crediti territoriali, operations, compliance, formazione interna — ma la sfida vera è un’altra: ottenere garanzie per il territorio e aprire nuove strade di sviluppo.
Gli impegni legati alla banca
Sul fronte di Mps, Siena dovrebbe pretendere impegni scritti e vincolanti, da legare al processo di consolidamento e alle eventuali aggregazioni:
- una soglia minima di occupazione qualificata mantenuta in città;
- la garanzia di un presidio decisionale stabile;
- la costruzione di una filiera della formazione collegata a Università e ITS, per alimentare competenze interne alla banca.
Le scelte per la città
Accanto a queste condizioni, che riguardano il destino della banca, c’è il futuro più ampio della città. Qui le direttrici possibili sono diverse:
- Conoscenza e salute: creare poli di ricerca su data science, intelligenza artificiale e biomedicina;
- Manifattura e terziario avanzato: istituire un fondo comunale di co-investimento per sostenere le PMI;
- Reindustrializzazione: valorizzare esperienze concrete come quella di Beko, capace di riportare lavoro e produzione innovativa;
- Cultura e turismo sostenibile: superare gli eventi-vetrina e costruire programmi permanenti che alimentino economia e comunità.
Per tenere insieme questi obiettivi servirebbe un Patto di transizione per Siena entro due anni: un tavolo tecnico con istituzioni, banca, università e parti sociali, una mappatura delle competenze locali e strumenti innovativi come una ZES urbana leggera. Le ZES, zone economiche speciali, offrono agevolazioni e semplificazioni per attrarre investimenti: declinate a scala cittadina, significherebbero procedure rapide, sconti sugli oneri e la rigenerazione di spazi industriali inutilizzati per fintech, servizi digitali e nuove manifatture.
Un’ipotesi del genere non nasce dal nulla: già i sindacati hanno proposto l’apertura di un tavolo di confronto, proprio per discutere di garanzie occupazionali e prospettive di sviluppo legate al territorio.
Siena non può restare ancorata all’immagine della “città della banca in crisi”. Deve costruire un nuovo racconto di sé, come piattaforma di competenze dove finanza, ricerca, industria e cultura si intrecciano. La vera svolta sta qui: non subire le decisioni prese a Roma o a Milano, ma scegliere come usare il proprio capitale umano e i propri luoghi. Solo così smetterà di vivere all’ombra della banca e tornerà a essere padrona del proprio futuro.