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NUOVO CINEMA MANCUSO
Un James Bond pol. corr.
James Bond disarmato? Ah sì, e poi cosa faranno? Gli metteranno l’aranciata nel bicchiere del Martini “shaken, not stirred” e gli daranno da guidare una vecchia cinquecento invece della Aston Martin? Non ancora, ma intanto Amazon, che adesso possiede i diritti del personaggio, gli ha tolto le armi dalle mani. Chi ha provato a rifare i manifesti “pacifici” – ma se uno fa il mestiere di agente segreto al servizio di Sua Maestà, sparare o almeno minacciare con una pistola è necessario – ha introdotto i pugni chiusi, con effetto assai ridicolo sulle pose classiche, attorno al calcio della pistola.
Senza armi in mano, certe pose sono ridicole. E ancora di più la celebre sequenza d’apertura, dove 007 punta la pistola verso il pubblico. C’è una pistola perfino nel marchio dell’agente con licenza di uccidere, anche questo lo cambieranno? Chi ha parlato di “vandalismo culturale”, e chi ha messo sotto accusa l’eccesso di wokeness: come se esistesse una giusta misura nella censura, qui superata. Perché qualcuno dovrebbe comprare i diritti di un personaggio legato alle armi, e poi cercare di ingentilirlo con piccoli ritocchi?
Amazon ha i diritti del personaggio e dei film (vale anche per il prossimo, anche se l’attore ancora non è stato scelto: si parla di Jacob Elordi per attirare il pubblico giovane che lo ricorda da “Euphoria”). E ha deciso di non commentare. Il sito Inside Hook avanza l’ipotesi che si tratti di una scelta per proteggere i futuri incassi. Le piattaforme ormai sono diventate perbene come una volta i film dell’oratorio. E i social – leggi: gli algoritmi che decidono cosa dobbiamo vedere e cosa no – respingono la violenza, fosse anche a fin di bene, per una campagna “contro”.
Così Daniel Craig ha la fondina ma senza pistola (gaffe rimediata in seguito, non basta cancellare per cancellare con buon senso). Ancora la Lega della Temperanza non si è fatta sentire, e neppure i dottori: ma tutti quei Martini non saranno mica una cosa buona, o salutare? Si va da un Martini all’altro, e cosa mangia durante la giornata il nostro eroe senza più la licenza di uccidere? La giornata è lunga, un film pure: si aggirerà senza scopo, oppure con sprezzo del pericolo affronterà i nemici a mani nude? Il massimo del sadismo sta nel fatto che non possiamo neanche vedere in azione Daniel Craig nei vecchi film.
La missione di Amazon è fare profitti, sicuro. Ma chi avrà voglia di vedere l’agente segreto con licenza di lavorare a maglia? o magati giocare a bocce? O di andare al museo, oppure al cinema, evitando tutto ciò che è vietato ai minori di 14 anni? Senza neanche un bicchierino di qualcosa per tirarsi su, con altri disoccupati che certo non mancheranno. Se va avanti così, cancelleranno pure Paperino.
A BIG BOLD BEAUTIFUL JOURNEY – UN VIAGGiO STRAORDINARIO
di Kogonada, con Margot Robbie, Colin Farrell
Era
nella lista “migliori copioni mai realizzati”. Lì poteva restare, senza intasare la categoria “film più stupidi mai girati”. Lo è, senza remissione, il “Viaggio straordinario”. Neanche così brutto da diventare di culto. Colin Farrell – uno che con il passare degli anni migliora – si trova la macchina bloccata dai ceppi, e deve andare a un matrimonio. Noleggia un’auto del 1994 da un’agenzia assai bizzarra, dotata di un super GPS che invece di indicare le strade vorrebbe guidarlo nella vita. Al matrimonio incontra Margot Robbie, immobile sotto la sua frangetta come neanche sembra possibile – aveva più espressioni nella parte della plasticosa Barbie. Anche lei ha noleggiato un’auto dalla stessa – in verità sinistra – compagnia. Il navigatore li fa incontrare di nuovo, in un Burger King (lo nominano, avrà pagato per comparire in un film cosi dolciastro e appiccicoso). Nulla viene risparmiato. Le porte si aprono nel bosco, dietro ci sono i dolori e i traumi delle rispettive infanzie. I dialoghi sono idioti, ma del genere che viene scambiato per grandi verità. Il navigatore- cupido li guida (ormai è rimasta una sola macchina in grado di viaggiare) attraverso i traumi dell’uno e dell’altro: scuola, morte dei genitori, fidanzamenti andati a male. La storia era già assurda sulla carta: cosa ci abbiano visto i fan della sceneggiatura non è dato sapere. Forse era uno scherzo o un dispetto, che Kogonada bagna nella luce color miele.
LE CITTA’ DI PIANURAdi
Francesco Sossai, con Sergio Romano, Filippo Scotti, Pierpaolo Capovilla, Andrea Pennacchi
Cosa sarebbe la letteratura italiana senza la provincia? Lo chiedeva un critico, quando ancora non eravamo assillati e sopraffatti dai romance – così nell’èra dei social e di internet hanno ribattezzato l’eterno e immortale genere del romanzo rosa. A dispetto dell’acquisita nobiltà che vede queste storie dominare le classifiche: romanzi rosa erano e romanzi rosa restano. La provincia – detto senza pregiudizi – salva anche il cinema. Per esempio, in questo strepitoso film diretto da Francesco Sossai che firma anche la brillante sceneggiatura, scritta con Adriano Candiago. C’è l’ultimo bicchiere, a costo di macinare chilometri in macchina, già ubriachi, per trovare un bar aperto. La leggenda di chi è riuscito a fuggire dopo aver rubato occhiali su occhiali alla ditta per cui lavorava. C’è un giovanotto ingenuo, appena laureato e già respinto dalla ragazza dei suoi sogni: i nostri decidono di svezzarlo alla vita notturna di chi non sa come tirare mattina – lui sale in macchina, ma preferirebbe visitare la Tomba Brion progettata nel 1969 dall’architetto Carlo Scarpa (è accanto al cimitero di Altivole, provincia di Treviso: meta turistica da quando Denis Villeneuve l’ha filmata per una scena di “Dune 2”). Nelle città di pianura, la provincia piatta del Veneto dove non succede mai nulla. I ristoranti amati chiudono, e “un gelato che cade dal cono mostra lo spavento” – variazione nostra sulla “Terra desolata” di T. S. Eliot.
TRE CIOTOLE
di Isabel Coixet, con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Galatea Bellugi, Silvia d’Amico
Senza
fine”: è il nome del ristorante di Elio Germano, un sacco alternativo (il locale e pure lui, nel film senza la sciarpetta al collo con cui ai David di Donatello, il premio tenuto saldo in mano, ha dedicato la vittoria alla dignità. “Di tutti e, permettetemi di dire” – questa era la premessa, con le sue precise parole – “anche dei palestinesi” (ora dovrà trovare un’altra Giusta Causa per cui battersi). Anticipando Javier Bardem che agli Emmy si è presentato con la kefiah – e una tinta di capelli che invocava un bravo parrucchiere (anche lui ha colto l’ultima ghiotta occasione per protestare). “Senza fine”, dicevamo, sta sull’insegna del ristorante di Elio Germano, fidanzato – in questo film della regista catalana Isabel Coixet – con Alba Rohrwacher. Ma subito si lasciano, come in “Tre ciotole” di Michela Murgia, romanzo o memoir o saggio o raccolta di racconti, chi mai lo può sapere, il talento straripante della signora non poteva essere ingabbiato in un solo genere. Lei insegna ginnastica e quasi subito si ammala di cancro. Lui rimane nel suo “interminabile” ristorante e vorrebbe anche struggersi – ma ogni volta gli fanno notare che è stato lui a lasciare lei, per futili motivi. Contorno, la sorella di lei, un collega, e un’allieva che si taglia. “Le scene madri” – leggiamo su Wired, non siamo le uniche pecore nere – “sono goffe e un po’ ingenue nello svolgimento”. Per i fan invece Rohrwacher è una “grande attrice mai così convincente”.
UN CRIMINE IMPERFETTO
di Franck Dubosc, con Franck Dubosc, Laure Calamy, Benoît Poelvoorde
Magnifica
commedia nera, ambientata dove non ci aspettiamo di trovarla. Nel Giura, catena montuosa al confine tra la Francia e la Svizzera. Buona per le mucche, per i formaggi, e le passeggiate: l’altezza massima del massiccio è 1700, metri – niente di inaccessibile. Remoto, certamente sì. Il film di Franck Dubosc, che conosciamo per “Rumba Therapy”: un padre per riprendere i contatti con la figlia che non vede da anni si iscrive alla di lei scuola di ballo (e funzionerà). “Un ours dans le Jura” era il titolo originale, e in effetti un orso c’è. Ma bisognava far capire allo spettatore che non si trattava di documentario sulla natura. L’orso che si aggira nel bosco fa uscire di strada il furgoncino di Roland, che vende alberi di Natale (il crimine viene meglio, mentre tutti comprano le decorazioni e i regali). Appena fuori strada c’è un’auto con due cadaveri – freschi, li ha resi tali lui, agitato per la presenza dell’orso. Torna a casa, e dopo un rapido consulto con la moglie decide di non dire nulla a nessuno (intanto alla stazione di polizia tre migranti dichiarano di essere stati assaliti da un orso – disegnandolo malamente, non sanno una parola di francese). I cadaveri vengono fatti sparire dal luogo del delitto, il piano prevede il trasporto più lontano dalla strada, e il miele per attirare gli orsi che verranno a farli fuori. Va da sé che nulla funziona. Ma la quantità di complicazioni che ne vengono è davvero strepitosa.