
Nell’oceano di immagini siamo tutti marinai
26 Ottobre 2025
Rid Of Me
26 Ottobre 2025NUOVO CINEMA MANCUSO
Omaggi, documentari e caos
Alla Festa di Roma ci sono tanti film che non abbiamo tanta voglia di vedere. Per esempio, la sventagliata di documentari sui più vari argomenti, una parte cospicua sulla storia del cinema. Da Alfred Hitchcock a Bombolo: uno ripreso mentre gira “Blackmail”, il suo primo film; l’altro – vero nome Franco Lechner – raccontato in vari momenti della carriera. I titoli interessanti saranno presto in tv o sulle piattaforme. Con la fatica che si fa a trovare il biglietti e prenotare i film davvero imperdibili, e il traffico di Roma mai davvero sperimentato nei suoi momenti peggiori, e la navetta che sale verso l’Auditorium ogni 40 minuti (teorici, dicono i conducenti, “c’è traffico e non riusciamo a rispettarli) non abbiano neppure tentato”.
Tanti gli omaggi, che non si negano a nessuno. Federico Fellini in prima fila, poi Tonino De Bernardi, poi Mario Martone. Si aggiungono gli anniversari. “The Rocky Horror Picture Show” di Jim Sharman che compie 50 anni – e non è invecchiato di un giorno, come spesso succede al camp. Quattro film di Claudio Caligari, morto dieci anni fa. Non poteva mancare una Maratona Pasolini, a 50 anni dalla morte violenta.
C’è un omaggio a Carlo Rambaldi, geniale fabbricatore di mostri nato cento anni fa. E una manciata di restauri, intitolata “Gocce di cinema”, in collaborazione con Acea che rifornisce Roma di gas ed elettricità. Da “Sunset Boulevard” di Billy Wilder a “L’Atalante” di Jean Vigo, tutto su una chiatta. Da “Fitzcarraldo” di Werner Herzog a “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, versione originale di Lina Wertmuller.
Ci sono vari film che abbiamo già visto, frequentando Cannes – così possiamo guardare con compatimento alle signore convinte che l’Auditorium ospiti un Festival di eccezionale qualità artistica – per non parlare della perfetta organizzazione. Il film forse più atteso – “Hamnet” di Chloé Zhao – era impossibile da acchiappare (sale piccole, e proiezione serale con il pubblico, arrivati lassù alle nove del mattino, a una certa ora dall’Auditorium si ha voglia di scappare).
Avevamo per fortuna già visto il magnifico “Nouvelle Vague” di Richard Linklater, in uno spettacolare bianco e nero. E il vincitore della Palma d’oro 2025 Jafar Panahi, con “It Was Just an Accident” (per entrambi i registi, un premio alla carriera). C’era il concorso Progressive Cinema, con 18 film – complimenti a chi è riuscito a vederli. C’erano le serie, con “Sandokan” e la stagione finale di “Vita da Carlo”, protagonista e ideatore Carlo Verdone.
“Anna”, omaggio della regista e attrice Monica Guerritore a Anna Magnani, ha avuto parecchi fischi. Il film che davvero aspettavamo, “Homo argentum” di Mariano Cohn e Gastón Duprat, viene proiettato oggi, sabato. Se è bello come i precedenti, ne scriviamo lunedì.
BUGONIA
di Yorgos Lanthimos con Emma Stone, Jesse Plemons, Aidan Delbis, Alicia Silverstone
Finalmente
Yorgos Lanthimos si è ravveduto. Non che non avesse cominciato bene, con “Dogtooth”: storia di una famiglia che per proteggere i figli dal mondo esterno e dalle sue cattiverie insegna loro un linguaggio privato: ogni cosa viene ribattezzata con un’altra parola, niente di inventato. Poi il greco Lanthimos si era un po’ perso, inseguendo storie di fabbricazione propria e non sempre sensate. Ha ripreso il volo con “La Favorita” presentato nel 2011: l’attrice era Emma Stone, la sceneggiatura scritta da Deborah Davis e Tony McNamara. L’incontro con la cultura e la storia britannica – la regina Anna, all’inizio del 700 – riesce così bene che il film successivo, sempre sceneggiato da Tony McNamara, vince il Leone d’oro a Venezia e quattro premi Oscar. Dopo il pessimo “Kinds of Kindness”, che segna il ritorno dello sceneggiatore greco Efthimis Filippou, Lanthimos decide di far da solo, appoggiandosi a un film sudcoreano del 2003. Era il film più contemporaneo alla Mostra di Venezia: complottismo; incapacità di leggere i segnali per quelli che sono, senza arzigogolare teorie; stupidità che resiste a ogni realtà e a ogni smentita. Due complottisti, del tipo che va a dormire con un cappuccio di alluminio per impedire che gli alieni leggano il pensiero, rapiscono Emma Stone, ceo di una grande azienda. Sono convinti che sia un’aliena intenzionata a distruggere la terra. La rapano a zero e la torturano nella casupola.
FRANKENSTEIN
di Guillermo del Toro, con Jacob Elordi, Oscar Isaac, Mia Goth, Charles Dance
Se pensate che sia facile, aspettate a vedere – esce la prossima settimana – “Dracula – L’amore perduto” di Luc Besson. Capirete la differenza tra un film sognato per una vita, profondamente sentito, e un film d’occasione, a suo modo ben fatto ma gelido. E affrettatevi a vedere questo meraviglioso “Frankenstein” finché sta nei cinema, purtroppo in una ventina di sale soltanto. Poi dal 7 novembre sarà su Netflix. Se non avete uno schermo formato piscina, le meravigliose architetture, le scenografie, i costumi, perfino la nave bloccata tra i ghiacci perderanno un po’ del loro incanto. Guillermo del Toro ragazzino rimase incantato dalla creatura del dottor Frankenstein nel romanzo di Mary Shelley. Dopo una vita dedicata ai mostri – basta ricordare “La forma dell’acqua” con il mostro della laguna nera (dal vecchio film di Jack Arnold, 1954) ghiotto di uova sode e innamorato di Sally Hawkins. La creatura è il gigante australiano Jacob Elordi, due metri di bellezza marmorea, e sotto traspaiono le vene. Fedelissimo al romanzo di Mary Shelley, e però contemporaneo, “Frankenstein” inizia tra i ghiacci. Dove la creatura si è ritirata, respinta dal mondo per la sua mostruosità. C’è l’incontro con l’eremita cieco, quello che in Frankenstein Junior dopo avergli acceso il ditone invece del sigaro gli dice “volevo offrirti anche una sambuca”. Era il 1974, regista Mel Brooks. Guillermo del Toro è più solenne, e innamorato della Creatura.
DJ AHMET
di Georgi M. Unkovski, con Arif Jacup, Agush Agushev, Dora Akan Zlatanova, Aksel Mehmet
Diventare
grandi nella Macedonia del nord, tra la minoranza etnica degli Yuruk, popolazione turca che vive di pastorizia; sono musulmani sunniti ma conservano credenze animistiche. “DJ Ahmet” ha vinto due premi al Sundance, miglior film straniero e film preferito dal pubblico. Pastori figli di pastori, da generazioni, l’orizzonte è limitato. Ahmet ha perso la madre, il padre va ogni mattina al mercato cittadino (si fa per dire, è un paesello arroccato in cima a una collina, l’imam odia la modernità perché non sa usare computer e altre diavolerie). Il quindicenne Ahmet deve lasciare la scuola per badare a un gregge di venti pecore (vengono contate all’inizio, poi una diventa rosa come sul manifesto). E al fratellino che ha perso la voce dopo la morte della mamma, in Macedonia è faccenda da guaritore. Una connessione a internet piuttosto precaria gli fa scoprire il mondo là fuori e la musica che lo fa girare. Scopre anche le ragazze – prima lo abbiamo visto in una scuola mista, ma non è ancora arrivata quella che gli fa battere il cuore. Lui si arrangia, traffica con vecchi altoparlanti che monta sul trattore. Il fratellino è felice di ballare ritmi un po’ diversi, e lo sono anche un gruppo di ragazze che in aperta campagna provano un numero per la festa del paesello. Una è stata in Germania, ha visto tante discoteche. Ha un vestito della festa lungo fino ai piedi, coloratissimo. Riportata a casa dai genitori per un matrimonio combinato.
LA VITA VA COSÌ
di Riccardo Milani, con Diego Abatantuono, Geppi Cucciari, Virginia Raffaele
La
vita va così per gli inguaribili nostalgici, innamorati del pittoresco. Che importa se da quelle parti – Sardegna, capo Teulada – la vita è stata durissima e ancora lo è. Bisogna preservare la spiaggia, dove il pastore porta le magre vacche. Vade retro turismo, vade retro un bell’albergo di lusso. Invece di imporre regole rigorose per preservare la costa si dice di no a tutto, oppure sì a progetti megalomani, per gente che i piedi nella sabbia non li vuole mettere. A Priolo in Sicilia avevano autorizzato la raffineria, rovinando una delle più belle spiagge in nome del lavoro (ora ci faranno un impianto di riciclo plastiche). Qui, una grande azienda milanese vuole costruire, proprio sulla spiaggia del pastore, un grande resort. E’ disposta a pagare bei soldi, tutti i paesani hanno venduto. Resta solo un ostinato pastore, che rifiuta un’offerta dopo l’altra. La vera storia è durata anni. Il film dura almeno mezz’ora di troppo, visto che tutti sono fermi sulle rispettive posizioni. L’offerta sale fino a una decina di milioni e forse più. Ma il pastore ostinato vuole vivere nella casupola che fu di suo padre, del nonno e del bisnonno. Rifiuta ogni offerta, ostinatamente. Nella realtà, la vicenda è andata avanti fino a fallimento dei volenterosi costruttori. Il pastore Giuseppe Ignazio Loi ha fatto la passerella vestito Marras da capo a piedi. Unico segno di modernità, in un film che guarda con speranza all’800.





