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NUOVO CINEMA MANCUSO
Divi paparazzati
Un magnifico regalo. Una storia minore del cinema italiano – dove minore vuol dire non pallosa, non agiografica, non universitaria, idiosincratica quel tanto che basta per non essere uguale alle altre. A mettere le mani sul ricchissimo materiale fotografico scattato dai paparazzi – magari rischiando uno schiaffo, una contusione, una slogatura, pure una denuncia perché non con tutti i divi e le dive ci si poteva mettere d’accordo prima – si sarebbero potuti ricavare molti libri diversi.
“Paparazzi” (nuovo nuovo da Einaudi) è firmato da Francesco Piccolo. Aveva scoperto che Claudia Cardinale scuriva i suoi capelli e poi li schiariva, e poi ancora li scuriva e di nuovo schiariva quando passava dal set del “Gattopardo” di Luchino Visconti al set di “8 1/2” – nessuno dei capricciosi registi aveva accettato la parrucca. Ne è nato un libro intitolato “La bella confusione” (tale era il cinema italiano celebrato nel mondo) e ora questo volume di fotografie “raccontate”.
Nelle prime pagine uno scatto magnifico riprende Walter Chiari, e il fotografo Tazio Secchiaroli in procinto di fotografarlo accanto ad Ava Gardner. Il paparazzo spunta di quinta, l’aria stupefatta. Scappare rinunciando allo scoop? Giammai. Ogni tanto in effetti ci scappava la rissa, o la finta rissa – era il gioco delle parti (sarebbe bastato, come nel caso della vittima principessa. fermarsi a salutare, magari con la manina: la foto non più esclusiva sarebbe scesa di prezzo, niente inseguimenti, tutti a casa felici).
C’era, tra i nomi celebri del flash e degli appostamenti, anche Rino Barillari. Il fotografato era Peter O’ Toole, lo scontro è registrato da uno scatto. Subito dopo arrivò il cazzotto sulla testa del povero Barillari, che era ancora minorenne: 4 punti di sutura all’orecchio. Il genitore fece causa, l’avvocato del divo Peter O’ Toole offrì un milione di lire per ritirare la querela. Affare fatto: al ragazzo andarono mille lire, abbastanza nel 1964 per una settimana di vacanza a Taormina.
Charlie Chaplin va a Ischia nel 1967 (c’era l’anteprima di “Un re a New York”, era ospite di Angelo Rizzoli). Viene inseguito dai ragazzini, di certo messi sulla buona strada da qualcuno: era impossibile riconoscere Charlot in quel signore con i capelli bianchi. Roberto Rossellini sta su una sedia da regista, in spiaggia. Accanto a lui dormicchia – o sta fingendo? – Ingrid Bergman.
Si dice che Richard Burton avesse offerto 12 milioni, per togliere di mezzo una foto che lo ritraeva assieme a Liz Taylor: si stavano sbaciucchiando su un motoscafo. Jean-Paul Belmondo nel 1960 legge il giornale al tavolino di un bar. Richard Linklater lo ha rifatto identico nel suo film “Nouvelle Vague”. Prodotto da Netflix, prossimamente in streaming.
JAY KELLY
di Noah Baumbach, con George Clooney, Adam Sandler, Laura Dern, Billy Crudup
Dopo
una gloriosa carriera da regista indipendente capace di regalare agli spettatori film come “Giovani si diventa” (la prima volta dell’ayahuasca al cinema) e “Frances Ha” (“vedo gente faccio cose” in bianco e nero, a suggello del sodalizio con Greta Gerwig) Noah Baumbach fa un passetto falso. Netflix produce il film, e questo ai nemici basterebbe. Ma a zoppicare è la sceneggiatura – da sempre la madre di tutti i mali. Memorabile soltanto la definizione del cinema italiano, ricco di premi e povero di idee: “Solo in Italia si premiano due attori bianchi di mezza età”, dice George Clooney – di anni 64 – al collega con cui divide il riconoscimento. “Jay Kelly” – così si chiama l’attore nel film – va a Pienza per ritirare il premio quando scopre che la figlia, molto trascurata in nome del lavoro quando era piccola, passa le vacanze in Toscana. Accanto a George, che per l’occasione insegue nei campi un ladro di borsette – scena del tutto inutile, nessuno lo ha mai scritturato per ruoli atletici – c’è Adam Sandler. Agente che ha vissuto anni all’ombra della star, in cambio del 15 per cento sui contratti – con la complicata relazione che ne deriva. Su certe cose deve dire sì, ma poi si ribella quando deve sbrogliare i rapporti con la figlia trascurata. Scritto in fretta e furia, soffre di luoghi comuni. La campagna toscana, illuminata come la pubblicità del Mulino Bianco, completa il disastro. Ora al cinema, dal 5 dicembre su Netflix.
THE SMASHING MACHINE
di Benny Safdie, con Dwayne Johnson, Emily Blunt, Ryan Bader, Bas Rutten
Fratelli
separati, Benjamin detto Benny e Josh Safdie, dopo meraviglie come “Good Time” con Robert Pattinson e “Diamanti grezzi” (che sarebbe il film giusto per apprezzare la bravura di Adam Sandler, non “Jay Kelly” di Noah Baumbach dove fa da spalla a George Clooney che esagera con le facce buffe). Josh Safdie ha scelto Timothée Chalamet per “Marty Supreme”, protagonista un campione di pong pong degli anni 50: il film uscirà a Natale, già candidato a tutto. Mentre Benjamin-Benny Safdie ha girato questo “The Smashing Machine”: altro sport, altra violenza. Firma il copione e regia, il resto appartiene a Dwayne “The Rock” Johnson che ha il ruolo di Mark Kerr, campione di MMA, vale a dire Arti Marziali Miste. Una lotta di antica tradizione – la praticavano i greci e i romani la chiamavano “pancrazio” – che unisce le arti marziali agli sport da combattimento come la lotta libera, il pugilato, il kickboxing (più facile dire cosa resta fuori, anche se nel film spiegano che qualche regola esiste). Mark Kerr dominò la disciplina tra il 1997 al 2009. Per contorno, una storia d’amore tormentata con Emily Blunt, molte punture dopanti, altri “integratori”, i combattimenti di allenamento con gli amici fraterni. Dopo un po’, viene voglia di chiedere una pausa o almeno un attimo tranquillo: quando un campione non combatte sul ring arrivano le liti coniugali spaccapiatti. Andrebbe proiettato in due blocchi, un intervallo di pace nel mezzo.
WICKED 2
di Jon M. Chu, con Ariana Grande, Cynthia Erivo, Jeff Goldblum, Michelle Yeoh
E’la
seconda parte del musical di Winnie Holzman e Stephen Schwartz, gran successo a Broadway. Non del romanzo di di L. Frank Baum. E neppure del film diretto nel 1939 da Victor Fleming, dove Judy Garland batteva i tacchi delle scarpette rosse (disegnate da Adrian, nel 1939 costumista capo della MGM) per tornare a casa nel Kansas. Salman Rushdie ragazzino vide il film a Bombay, quando l’India non era stata travolta dal fondamentalismo e si potevano dipingere la stanze dei bambini con i personaggi Disney, e alle scarpe rosse di paillettes – che nel romanzo erano d’argento – dedica un magnifico saggio, sul tema “dov’è casa”. Molte manie, molti strati, molti uomini e molte donne hanno fatto diventare “Wicked” come appare adesso sugli schermi. Neanche la Malvagia Strega dell’Ovest Elphaba è così cattiva come dicono, ha avuto un’infanzia difficile. E magari invece Glinda la Buona, chissà, se è davvero come la dipingono, sempre vestita di rosa in un paese da favola e amatissima dai sudditi felici di aver scacciato la brutta strega verde e potersi dedicare a balli e festicciole. Il Mago di Oz, in abbigliamento colorato, non somiglia all’impostore che Dorothy smaschera nel vecchio film assieme all’Uomo di Latta, al Leone codardo e allo Spaventapasseri. E’ però pasticcione e pieno di sé. Con tutte le canzoni del musical, più un paio scritte per l’occasione. Brava la cattiva con la testa rasata dipinta di verde, mai visto ruolo più crudele.
DREAMS
di Michel Franco, con Jessica Chastain, Isaac Hernández, Rupert Friend, Marshall Bell
Michel
Franco è il re delle false piste. Le prime scene del film – un giovanotto che dal Messico entra clandestino negli Stati Uniti, chiuso in un camion con tanti disperati come lui – non danno indizi su cosa succederà poi. L’immigrato dopo qualche disavventura riesce a passare il confine. Cammina e cammina, arriva a una casetta residenziale, trova le chiavi, entra e attende la padrona di casa. Appena un saluto e vanno a letto insieme, lei è del tutto consenziente. Il film che seguirà – 90 minuti, molto ben sfruttati – aiuta a ricostruire la relazione tra i due amanti. Niente di spiegato, meno che mai “telefonato”: tocca allo spettatore mettere insieme i tasselli. Ci saranno altri momenti che replicano la prima scena, quando pensiamo che il clandestino sia un ladro, anzi no forse un domestico; come mai si muove così a suo agio nella casa da ricchi. Gli amanti hanno qualche pregresso. Lei è una miliardaria che si occupa di mecenatismo artistico. Lui un talentoso ballerino messicano, clandestino per amore. E perché pensa che la ricca amante lo aiuterà a sfondare sulla scena americana. Non è un illuso dilettante convinto di avere talento, è davvero bravo. Ma lei a San Francisco è meno disinvolta, il danaroso genitore dopo un po’ sospetta qualcosa. Il ballerino Fernando ha subito successo, come in una favola. Jessica Chastain è elegante e gelida. Era più tenera con Peter Sarsgaard, suo smemorato violentatore in “Memory”.





