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NUOVO CINEMA MANCUSO
In sala, d’estate, nell’85
Siamo ridotti a celebrare il cinema che fu. Quello che riempiva le sale estive, per l’aria condizionata e perché “Ritorno al futuro” certo non è “Albatross”. “Esse” in soprannumero, e incassi sotto il livello di guardia (però guai a farlo notare, sono molto raccomandati; diremo allora che lo scorso giovedì, primo giorno di programmazione, il film ha incassato 2.610 euro, con 408 spettatori – ed era programmato in 113 sale). Neppure possiamo dire che non era stata fatta abbastanza pubblicità.
Nel 1985, l’estate era stata di “Ritorno al Futuro”, con Christopher Lloyd, Michael J. Fox, e l’attrice Lea Thompson, che aveva due figlie ragazzine ignare di tutto. Rigidi princìpi educativi: non voleva mostrare i suoi film alle figlie perché finivano con un bacio, e considerava la scena traumatica per le piccole. “La mamma bacia qualcuno che non è il papà, e mi fa piangere”.
Più difficile spiegare il ruolo in “Ritorno al futuro”. Lorraine Baines – così si chiama il personaggio – ha una relazione romantica con suo figlio Marty: appassionato di viaggi nel tempo. Dal 1985 piomba nel 1955 al volante di una DeLorean.
Ritorno al futuro era interamente nel suo tempo, e pure fuori dal tempo. Stesso tempo senza tempo. Blockbuster estivo, e film citato in tutte le storie che portano avanti e indietro nel tempo. Dal presidente Ronald Reagan e da “Avengers: Endgame”. E’ un film perfetto, senza noia né scene fuori posto. Una fantastica parabola. Uno dei rari film che si possono vedere e rivedere, come “Il giorno della marmotta”.
Ovvio che rifletta le preoccupazioni del suo tempo. Avete mai visto un film che a posteriori non lo diventi? C’era Gheddafi preso da un musical, una caricatura già bella e pronta. Se il film non fosse stato girato al tempo suo, e l’avessero girato invece nel 2025 andando indietro di 30 anni, il futuro a cui ritornare sarebbe stato il 1995, molte cose sarebbero state diverse. A cominciare dai telefoni. Bob Gale, co-sceneggiatore, ribadisce il fatto che ogni cosa era giusta e al posto giusto. Compresa l’amicizia con lo scienziato Doc Brown. Che adesso ha 74 anni e da Los Angeles conferma: il film non si sarebbe potuto girare oggi. La relazione tra Marty e Doc sarebbe stata interpretata come pedofilia, o qualcosa di simile.
Bob Gale incontrò il regista Robert Zemeckis alla scuola di cinema USC, entrambi avevano venduto alla Universal copioni per la tv, attirando l’attenzione di Steven Spielberg e John Milius. I due avevano la fissa per i film sui viaggi nel tempo, ma non riuscivano a trovare lo spunto. Finché Gale ebbe una folgorazione. Vide lo yearbook del padre, e arrivò l’idea. Se un ragazzino tornasse indietro per andare a scuola con suo padre? Lo proposero 40 volte, ma solo Spielberg capì il potenziale.
THE END
di Joshua Oppenheimer, con Tilda Swinton, George MacKay, Moses Ingram, Bronagh Gallagher
Padre,
Madre, Figlio, Amica, Dottore, Maggiordomo. Sembra di essere al premio Strega, dove un paio di scrittori non hanno neanche faticato per dare i nomi ai personaggi. Un altro finalista invece era tutto un “name dropping”, personaggi di una certa notorietà – la meno famosa era la scrittrice, lo sarebbe diventata. La Famiglia, che si direbbe assai benestante – non c’è straccetto che riesca a far sembrare Tilda Swinton una cameriera – da una ventina d’anni si è rifugiata in un bunker lussuoso. Non lussuoso come bunker, intendiamoci. E’ una lussuosa casa sottoterra, dentro una miniera di salgemma. Il figlio ventenne non conosce altro, e cerca di arrangiarsi. Ricostruisce il mondo là fuori, e gli avvenimenti storici, con modellini. Cosa si fa nel bunker? Le esercitazioni d’emergenza, per esempio. La ginnastica per tenersi in forma, c’è anche una piscina niente male. Alle pareti, la preziosa collezione d’arte che Madre ha portato con sé, e da maniaca vuole che tutto sia perfetto, intonando gli arredi alle stagioni che passano. E noi, convinti che dentro una miniera di sale tutto fosse sempre uguale… Finché trovano la Ragazza, priva di sensi nella miniera. Ella racconta storie terribili, la sua famiglia è morta attraversando un fiume. Vogliono riportarla su, lei scappa per i cunicoli e il Figlio la riacchiappa. Tutti cantano, dall’inizio alla fine. Qualsiasi cosa debbano dire. Joshua Oppenheimer, 50 anni, è il regista di “The Act of Killing”.
JURASSIC WORLD – LA RINASCITA
di Gareth Edwards, con Scarlett Johanson, Ed Skrein, Mahershala Ali
Cinque
anni sono passati dall’ultimo pasticcio – quello che succede puntualmente alla fine di ogni film della saga. Gioca con i dinosauri oggi, gioca con i dinosauri domani, i mastodontici bestioni clonati dalla preistoria sono sempre più ingovernabili. Qualcuno si fa furbo – ma con quei mascelloni non serve granché. Qualcuno si fa tonto, o pure deforme, ma sempre sono pericolosi. Certo, ci sono gli erbivori, grandi come montagne vivono nell’erba alta, e in questo film amoreggiano. Per questo non notano la banda di umani che vorrebbe una siringa del loro sangue, per curare malattie finora incurabili. La siringa viene sparata da un fucile (magari, qualcosa di più potente, ma sempre meno di un mitra), buca la spessa pelle dei bestioni, riempita di sangue fa scattare un piccolo paracadute che la porta a distanza di sicurezza. Il sangue – o il DNA – stavolta non servono per creare altri mostri preistorici. Salveranno la vita all’umanità. Scarlett in canottiera e reggiseno incorporato spara ai bestioni, accompagnata dal cattivo finanziatore che pretende di fare in fretta, e da un paleontologo che i dinosauri li ha visti solo al museo. La prima scena ne mostra un paio in città, ecco perché li hanno rinchiusi in capo al mondo, più lontano di Isla Nublar. Bastava la cartina di una barretta al cioccolato per fare danni al sistema di sicurezza. Partono, armati fino ai denti. Intanto i bestioni prendono di mira una barchetta in gita.
DI LÀ DAL FIUME E TRA GLI ALBERI di
Paula Ortiz, con Liev Schreiber, Matilda De Angelis, Josh Hutcherson
Ernest
Hemingway, gran cacciatore e reduce da due guerre mondiali, è piuttosto malconcio. Il dottore parla di trombosi cardiaca, gli suggerisce di andare in ospedale. Cosa che lo scrittore – fumatore e bevitore con ritmi che oggi non sono neppure immaginabili – sdegnosamente rifiuta. Non è chiaro – nel film – se perché non gli importa di morire, o perché ha deciso di vivere i giorni che gli restano all’altezza della sua leggenda. Nella finzione – esiste un romanzo con lo stesso titolo – si chiama colonnello Richard Cantwell. Tra gli acciacchi recenti, comincia a dolere anche una vecchia ferita di trent’anni prima, proprio nella campagna veneta di Fossalta. Incurante di tutto, sempre con un occhio alla bottiglia – per tristezza o raramente per allegria – il colonnello Cantwell vuole andare un’ultima volta nella laguna a caccia di anatre. I bambini, per colore locale, giocano tra gli edifici diroccati, restano in piedi solo le Madonne dipinte. Venezia è deserta, anche oltre il dovuto: il film è stato girato durante il covid. Con modi bruschi, il colonnello sale sul motoscafo di una bella ragazza, Renata Contarini – l’attrice è Matilda De Angelis, elegantemente vestita e impeccabile pilota, sempre nei canali deserti che più non si potrebbe. Lei naturalmente è fidanzata con un giovanotto, glielo ricorda mamma Laura Morante, assieme alla puntualità. Ma Liev Schreiber, malconcio e con la barba di pochi giorni, febbricitante, per un po’ dimentica le anatre.
TUTTO IN UN’ESTATE!
di Louise Courvoisier, con Clément Faveau, Mathis Bernard, Luna Garret,
Giovani
attori fenomenali, a cominciare dal protagonista Clément Faveau. E tutta la sua banda, che abita nella campagna del Giura francese. Siamo in Franche-Comté, capitale Besançon, all’estremo est della Francia. La regista ha trent’anni, è al suo primo film, ha congegnato una storia a lieto fine con quello che aveva a disposizione. Il formaggio soprattutto, grandi forme che il giovane Totone si carica in spalla, con apposite bretelle (possono pesare fino a 50 chili). L’estate è il tempo per girare con gli amici e ubriacarsi di birra, finché la dura realtà richiama all’ordine: suo padre, che fa il casaro, muore in un incidente. Totone non ha idea di quel che vuole fare da grande, sembra incapace di tutto, o almeno pasticcione. Tenta vari apprendistati, combinando solo guai. Ma ha una sorella piccola a cui badare: si chiama Claire (Luna Garret, altra debuttante già brava). Cocciuto e incosciente, si mette in testa di produrre il miglior formaggio della regione. E vincere il concorso agricolo che mette in palio 30 mila euro. Non sa da che parte si comincia, a parte mungere le mucche – e il formaggio della Franche-Comté è regolato da rigidissimi disciplinari. Totone trova il modo di rubare i segreti del mestiere. Ha un’amica più esperta, allevatrice di mucche, che lo aiuta. In cambio di qualche bacio ben dato. La fotografia di Elio Balezeaux ha già i colori della nostalgia. Louise Courvoisier ha curato ogni dettaglio, nel suo film a km zero.