
Italy’s GDP growth at 0.5% in 2025, 0.8% in 2026 – IMF
25 Ottobre 2025
Gaza appaltata: fuori l’Unrwa, dentro le società trumpiane
25 Ottobre 2025MAFIA
All’epoca dirigente della Squadra mobile di Palermo, secondo l’accusa sviò le indagini mentendo sul guanto trovato a bordo nella Fiat 127 usata dai killer che il 6 gennaio del 1980 uccisero l’allora presidente della Regione Sicilia
Un guanto sparito, una verità mai apparsa del tutto. Sullo sfondo, un (presunto) depistaggio di Stato che getta nuove e gravi ombre su uno dei più controversi delitti mafiosi degli ultimi 50 anni. I mandanti erano i boss della cupola, tutti condannati, ma gli esecutori sono sempre rimasti ignoti. Una possibile (e clamorosa) svolta è arrivata ieri.
«Le indagini sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella furono gravemente inquinate e compromesse da appartenenti alle istituzioni che, all’evidente fine di impedire l’identificazione degli autori del delitto, sottrassero dal compendio probatorio un importantissimo reperto, facendone disperdere definitivamente le tracce» scrivono i pm della Dda di Palermo, nella richiesta di arresti domiciliari – accolta dal gip – a carico dell’ex funzionario della Squadra Mobile Filippo Piritore, che in carriera ha poi ricoperto anche la carica di prefetto. Non uno qualsiasi, dunque, ma un uomo dello Stato di primo piano. Secondo la procura, Piritore avrebbe reso dichiarazioni «rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)» che fu notato nella 127 usata dai killer senza nome, entrati in azione in quella domenica 6 gennaio del 1980 per uccidere il presidente della Regione Sicilia, fratello del Capo dello Stato. Ma non è finita. Dalle indagini spunta anche il nome
noto di Bruno Contrada, l’ex numero due del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa: era sul luogo del delitto per partecipare alle indagini e, il 6 gennaio 1980, insieme all’ufficiale dei carabinieri Antonio Subranni e all’allora pm Pietro Grasso, acquisì informazioni sia dalla vedova di Mattarella, Irma Chiazzese, che dal figlio Bernardo, entrambi testimoni dell’omicidio. Lo stesso Piritore ammette di aver informato del guanto Contrada, che poi gli avrebbe detto di «avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica». Per la procura Contrada e Piritore erano amici e si frequentavano anche oltre il lavoro. Secondo una sentenza passata in giudicato (ma revocata dalla Cassazione nel 2017 dopo l’annullamento della Cedu), nell’anno del delitto Mattarella, Contrada aveva rapporti con la mafia di Michele Greco e Totò Riina. Per cui – è la tesi dell’accusa – mentre si occupava dell’inchiesta, intratteneva relazioni riservate con i boss. La versione di Contrada, oggi 94enne, non si è fatta attendere: «Non ho mai saputo del ritrovamento di un guanto nell’automobile usata dai sicari del presidente Piersanti Mattarella. E non sono andato nel luogo dell’omicidio in via Libertà dopo il delitto». L’ex 007 nega anche l’amicizia con l’ex prefetto. «Non sono mai stato a casa sua e lui non è mai venuto a casa mia». Piritore era presente al sopralluogo durante il quale l’indumento venne trovato: risulta da una fotografia scattata dalla Scientifica. Il guanto, «di colore marrone», ritenuto un tassello importantissimo per risalire agli autori dell’omicidio tramite impronte e dna, è sparito nel nulla. Ai pm, che l’hanno sentito come testimone a settembre del 2024, Piritore ha raccontato mentendo secondo la Procura di Palermo – di averlo inizialmente affidato all’agente della polizia Scientifica Di Natale che avrebbe dovuto darlo a sua volta a Pietro Grasso, allora titolare delle indagini sul delitto. Il magistrato, secondo Piritore, avrebbe poi disposto di restituire il reperto al Gabinetto regionale di Polizia scientifica e Piritore, a quel punto, lo avrebbe consegnato, con attestazione, a un altro uomo della Polizia scientifica di Palermo, tal Lauricella, per gli accertamenti.
Ma secondo l’accusa,quella raccontata dall’ex funzionario sarebbe una storia inverosimile e illogica, che contrasta nettamente con le testimonianze di Grasso e Di Natale. Il primo, in particolare, ha spiegato ai pm di non avere mai chiesto o ricevuto il guanto. Senza contare che all’epoca, alla Scientifica, non c’era nessun Lauricella. «Filippo Piritore, consegnatario del guanto sin dal momento del suo ritrovamento, pose in essere un’attività che ne fece disperdere ogni traccia. – gli contestano i pm – Essa iniziò probabilmente a partire dall’intervento sul luogo di ritrovamento della Fiat 127, ove indusse la Polizia scientifica a consegnargli il guanto, sottraendolo al regolare repertamento e contrariamente a ciò che di norma avveniva in tali circostanze ». Un giallo che dura da 45 anni, e che dal giorno dell’interrogatorio turba lo stesso Piritore che, intercettato, aveva detto alla moglie: «Qualcosa fanno…». Con chiaro riferimento all’inchiesta. Per poi accennare al «rompere i c… dopo 45 anni». Conversazioni che, secondo i pm, rivelavano «un profondo sconvolgimento », oltre a essere «incompatibili con la posizione di un funzionario che ha compiuto il proprio dovere».





