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7 Gennaio 2024Marxismo. L’insegnamento riformista di Engels e la vocazione anticoloniale del bolscevismo in un saggio (Stilo editrice) con un contributo di Eric Hobsbawm
di Antonio Carioti
Fu un errore ritenere che il pensiero di Karl Marx si potesse tradurre in una dottrina compiuta applicabile in ogni tempo nella lotta politica e sociale. Come scriveva lo storico britannico Eric Hobsbawm (1917-2012) nella voce dedicata al filosofo di Treviri nell’Oxford Dictionary of National Biography, la concezione economica marxiana «fu soggetta a continuo sviluppo e mai adeguatamente presentata e sintetizzata». E ancora meno dalla sua opera si potevano trarre conclusioni ben definite in campo politico.
Riflette su questo problema Luciano Canfora in un saggio pubblicato insieme alla voce di Hobsbawm nel volume Marx e i suoi scolari (traduzione di Giovanni Bassi, Stilo editrice). Il tema di fondo è l’atteggiamento da tenere nei confronti delle istituzioni parlamentari. Dopo la morte di Marx, nella situazione creatasi in seguito alla fine delle persecuzioni antioperaie volute da Otto von Bismarck in Germania, il suo amico e coautore Friedrich Engels sostenne nel 1895 che la partecipazione dei socialisti alle elezioni fosse, scrive Canfora, «il più efficace strumento di lotta per i socialisti». Un’indicazione seguita dalla socialdemocrazia tedesca, che interpretò così il marxismo in chiave gradualista.
Vent’anni dopo scoppiò la Prima guerra mondiale. Un evento catastrofico che da una parte mandò in crisi la Seconda Internazionale, poiché i socialisti di ciascuno Stato si schierarono con i rispettivi governi impegnati nel conflitto, dall’altra creò le condizioni per una rivoluzione in Russia, Paese arretrato e quindi teoricamente inadatto al superamento del capitalismo. A cavalcare la tigre fu Vladimir Lenin, che affidò il compito della trasformazione al partito bolscevico, enfatizzando gli aspetti giacobini e insurrezionalisti degli scritti di Marx, in particolare il concetto di «dittatura del proletariato».
La rivoluzione russa andò in porto, ma si rivelò illusorio, nota Canfora, il proposito di esportarla in Occidente. In Ungheria e in Baviera le insurrezioni comuniste furono represse; in Italia il «biennio rosso» si risolse in un nulla di fatto. Quindi, in conformità con la sua analisi dell’imperialismo, Lenin puntò sulla sollevazione dei popoli colonizzati, in quei Paesi extraeuropei nei quali il comunismo avrebbe ottenuto i suoi maggiori successi: Cina, Cuba, Vietnam.
Nel nostro Paese, dove il movimento operaio tra le due guerre mondiali era stato travolto dal fascismo, la riflessione di Antonio Gramsci sul concetto di «egemonia» e poi la prospettiva della «democrazia progressiva» elaborata da Palmiro Togliatti dopo il 1945 furono in sostanza un tacito ritorno alla posizione sostenuta cinquant’anni prima da Engels.
Insomma, nonostante il «legame di ferro» intrattenuto a lungo con l’Unione Sovietica, il Pci si pose sin dall’immediato dopoguerra, secondo Canfora, come un partito di fatto riformista e fautore del sistema parlamentare, tant’è vero che si possono trovare analogie tra le prospettive delineate da Togliatti nei primi anni Sessanta e il programma di Bad Godesberg adottato dalla socialdemocrazia tedesca nel 1959. Una tesi che può apparire audace, ma merita di essere presa in considerazione.