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I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti scuotono i mercati globali e ridefiniscono gli equilibri economici internazionali. Il provvedimento firmato da Donald Trump colpisce decine di Paesi: soglia minima al 15%, ma con punte che superano il 30% per economie come Svizzera, Brasile e Canada. La mappa tariffaria appare volutamente arbitraria, spesso più politica che economica: punizioni per chi prende posizioni sgradite su temi come Palestina o regolazione dei giganti digitali, concessioni a chi accetta le condizioni imposte da Washington.
L’Europa resta nel mirino, priva di reali strumenti di reazione, anche a causa della dipendenza strategica dagli Stati Uniti sul piano militare. Intanto l’incertezza colpisce anche l’economia americana: occupazione in rallentamento, settori manifatturieri in calo, e un gesto clamoroso del presidente che licenzia via social la responsabile dell’istituto statistico, accusandola di diffondere dati imprecisi.
I dazi diventano così l’architrave di una politica estera fondata non sul dialogo ma sul ricatto. Gli Stati Uniti usano il proprio mercato come leva di potere, non più solo economico ma anche geopolitico. L’Europa e il resto del mondo si interrogano su come uscire dalla morsa del nuovo protezionismo americano, in un contesto in cui la cooperazione multilaterale sembra sempre più marginale.