Generazione Settanta è il nuovo libro di Miguel Gotor (Einaudi, pp. 464, euro 34), professore di storia moderna che, a partire dal suo lavoro del 2011 sul memoriale di Aldo Moro, è uno dei protagonisti del dibattito pubblico su quel decennio. Diciamo subito che il titolo di questo libro è abbastanza fuorviante. Di generazione nelle oltre 400 pagine ce n’è ben poca, se con questo termine intendiamo quelle coorti di età che in quegli anni furono protagoniste della scena pubblica.

LE CULTURE, i comportamenti, i gusti, i consumi, gli ideali di quei giovani, studenti o operai, impiegati o artisti che fossero, non ci sono. Ancora peggio per le donne. Il movimento femminista, protagonista assoluto di quel periodo, appare per la prima volta quasi a metà del libro come «una forte componente» del movimento del 77, definizione sorprendente per un movimento che già dal ’68 e ancor di più dall’inizio del decennio stava cambiando radicalmente la società. In più, questa apparizione tardiva del movimento femminista dura un attimo, perché già dalla pagina successiva del movimento si parlerà solo per alcune azioni armate contro medici obiettori, per poi scomparire rapidamente nel resto del libro.

In realtà, i protagonisti sono ben altri che la generazione Settanta, ridotta sostanzialmente a «terroristi», più o meno strumentalizzati, e «fiancheggiatori», che poi opportunisticamente si tirarono indietro e continuano a coltivare «omertose solidarietà e rapide sverniciature della memoria»: «Una generazione abitata da tanti Willy il Coyote, che si erano fermati, chi per paura, chi per resipiscenza, chi per caso, sull’orlo del burrone».

I veri protagonisti del decennio sono invece altri, i «burattinai», i politici rinchiusi nel Palazzo, i «manovratori» delle terribili vicende degli anni di piombo. L’attenzione di Gotor è centrata su questo aspetto con lunghe descrizioni delle varie crisi politiche del decennio, nelle quali personaggi minori si accapigliano per un ministero all’ombra delle strategie di Moro e di Berlinguer, e con l’altrettanto minuzioso elenco dei vari drammatici avvenimenti, dilungandosi per ognuno di essi in possibili moventi e depistaggi.

DA QUESTO FLUSSO di informazioni, di date, personaggi, nel quale il lettore rischia di perdersi, emerge l’idea che l’autore ha del decennio. Tutto quello che è accaduto in quegli anni, stragi, attentati, rapimenti, omicidi, ferimenti, fa parte di un’unica strategia: impedire al Pci di andare al governo e di «normalizzare» il quadro politico italiano rendendo possibile una democratica alternanza. Questa tesi, certo non nuova, viene sostenuta inanellando qui e là una frase di uno dei tanti alti funzionari dei servizi di sicurezza italiani implicati nelle vicende, la dichiarazione di un pentito, una citazione di un altro libro, una convinzione dello storico. Il libro in questo senso non offre nessuna nuova fonte, men che meno un’analisi delle carte «desecretate» dalle direttive Prodi e Renzi sulle stragi e il terrorismo. Scorrono così drammatici avvenimenti, «misteri» vari, veri o presunti, come la moto Honda in via Fani, o l’auto-allagamento dell’appartamento di via Gradoli, insieme ad affermazioni smentite in sede processuale, come la responsabilità dei Nar nell’omicidio di Piersanti Mattarella.

La politicizzazione totale della società italiana, l’ondata di conflitti che rimette in discussione gerarchie e ruoli, la significativa ridistribuzione della ricchezza come risultato delle dure, e anche violente, lotte operaie resta in secondo piano. Non c’è nessun interesse a distinguere e analizzare quella violenza politica che fu una delle forme di espressione del conflitto in quegli anni; antifascismo militante, scontri di piazza, stragismo, lotta armata, tutto uguale; i gruppi della nuova sinistra, sostanzialmente una palestra per le successive organizzazioni armate (Lotta continua per Prima linea, Potere operaio per le Brigate rosse); gli intellettuali engagé di quegli anni, più o meno quella generazione di Willy il Coyote che prima simpatizza e poi fa finta di niente. Al lettore più avanti negli anni a volte sembra di essere più che in un libro di storia, nella collezione di editoriali e riflessioni provenienti dalle pagine dell’Unità o di Paese sera.

Gotor si iscrive quindi alla lunga lista di giornalisti e opinionisti che solo al sentir parlare del decennio maledetto rabbrividiscono. Fortunatamente ormai da anni ci sono un buon numero di libri e saggi che affrontano quel complesso, drammatico, ma fondamentale decennio con ben altra attenzione e minor pregiudizio.