Luzzatto, antropologia delle Br a Genova
5 Novembre 2023The Rolling Stones – Angie
5 Novembre 2023
Tornando dopo vent’anni sullo spettacolare pavimento del Duomo di Siena (del 2004 è il libro che aveva scritto col suo maestro Roberto Guerrini), Marilena Caciorgna aggiunge e precisa descrizioni e congetture, si sofferma sulle onnipresenti scritte esplicative (tre in volgare, le altre in latino) col loro intrico di rimandi biblici e profani, esplora travagliati agganci a una documentazione ampia ma non senza lacune. Un esempio, il Monte della Sapienza, basti a dire quanto sia complessa la tessitura di questo avvedutissimo corteo di figure.
“Disegnata” su marmo da un cartone del Pinturicchio (1502-06), la scena è a metà fra sacro e profano, fra simbolico e narrativo, e Caciorgna ne offre un’interpretazione sagace e convincente. Su un’isola si accalcano dieci saggi, uno seduto e gli altri in piedi, che imboccano l’impervio sentiero verso la cima, dove Sapienza li invita con una tabella-fumetto in versi latini. Troneggiante su un’ara all’antica fra due filosofi greci indicati per nome, consegna a Socrate una palma e porge un libro a Cratete, intento a liberarsi delle ricchezze gettandole in mare (lo dice Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi). In basso sull’isola si distingue il filosofo seduto, con in grembo un libro chiuso; nessuna scritta ce ne dice il nome, che Caciorgna ha scovato con ricca costellazione di fonti: Zenone di Cizio, fondatore dello stoicismo. Di lui Diogene Laerzio narra che naufragò presso il Pireo, e recatosi poi ad Atene ascoltò un libraio che leggeva storie di Socrate dai Memorabili di Senofonte. Profondamente colpito, chiese dove potesse trovare un maestro come Socrate, e il libraio gli additò Cratete. Zenone ne fu poi tanto contento da dire «Feci davvero un buon viaggio, quando naufragai».
Il racconto s’intreccia al simbolo: la Sapienza personificata e gli innominati sapienti che le vanno incontro, la palma di ogni saggezza (Socrate), il disprezzo dei beni terreni (Cratete). Tre libri, quello in mano a Socrate (che di libri non ne scrisse), quello che Sapienza porge a Cratete e il terzo in grembo a Zenone, alludono a una sapienza che si diffonde attraverso gli scritti, come nella storia del libraio ateniese. In basso a destra scatta il corto circuito fra racconto e simbolo: Zenone è mostrato nel gesto “malinconico” (cioè creativo) della meditazione, riflette sul proprio destino. Un saggio accanto a lui si volge indietro, verso la nuda Fortuna che poggia un piede sull’instabile sfera e l’altro su una nave di cui lei stessa regge la vela in preda a ogni vento: e in questa figura assai botticellesca, puntuale allusione al “felice naufragio” di Zenone, simbolo e racconto coincidono.
Il pavimento senese, sorprendente impresa che si snodò per generazioni (dal 1370 circa a metà Cinquecento, con aggiunte e sostituzioni fino all’Ottocento), è unico al mondo per la mirabile sequenza di 56 tarsie marmoree legate fra loro da una visibile corrente di senso. Dopo un inizio in sordina (undici tondi a mosaico di tessere minute con animali che simboleggiano Siena e altre città) esplose nel pavimento, con ampiezza e perfezione mai viste altrove né prima né dopo, la tecnica della tarsia marmorea, ispirata all’opus sectile tardo-antico. Tratteggiate le figure su lastre di marmo bianco, se ne evidenziavano i contorni eseguendoli al trapano e riempiendo i solchi con stucco nero o pece, con effetto disegnativo arricchito poi dall’inserzione di marmi colorati.
La mescolanza di cultura religiosa e profana risalta specialmente dopo la «grande svolta umanistica» dovuta ad Alberto Aringhieri, Rettore dell’Opera senese dal 1480 al 1506, e le presenze classiche culminano nel celebre pannello con Ermete Trismegisto e nel Monte della Sapienza di cui si è detto. Due papi senesi, Pio II e Pio III, incarnarono una squisita cultura dove la frequentazione dei classici si sposava a strenue professioni di fede. Perciò nella Libreria Piccolomini in Duomo il futuro Pio III commissionò al Pinturicchio la scena in cui lo zio pontefice vuol partire in crociata per liberare Costantinopoli dai Turchi, e lì accanto espose la scultura antica di Tre Grazie che si abbracciano in compiaciuta nudità.
Caciorgna dà gran risalto all’amicizia fra il card. Todeschini Piccolomini (poi Pio III), l’Operaio Aringhieri e Marsilio Ficino, massimo cultore della letteratura ermetica e portavoce di un ricercato neoplatonismo cristiano che potrebbe aver ispirato alcuni dei grandi temi del pavimento.
Non vi fu mai un “programma iconografico” che guidasse committenti e artisti nei due secoli di messa in opera delle tarsie; ma, scrive Caciorgna, «quando si decideva di aggiungere una nuova scena all’interno dell’iter ormai codificato, si pensava a un intervento consono ai precedenti interventi». Se è possibile leggere nel pavimento un percorso dalla Sapienza alla Religione, come l’autrice propone, è in grazia di questa instancabile gemmazione di temi su temi nel corso del tempo; e sempre all’insegna non solo della fede cristiana ma dell’orgoglio civico di una Siena che nel Costituto del Comune (1309) aveva prescritto ai governanti «che massimamente s’intenda a la bellezza della città». L’assenza di un cogente programma decorativo, anzi, accresce il valore e il senso dell’opera, fedele riflesso di un’intenzione collettiva di lunga durata.
Ricchissimo d’arte e di dottrina, questo “libro di marmo” fu concepito quando lo scalpitante overtourism era di là da venire. Fu pensato per la lettura lenta di chi lo percorreva nelle funzioni liturgiche o civili, o per privato raccoglimento e preghiera. Oggi il pavimento viene coperto buona parte dell’anno per proteggerlo dall’usura; e perciò tanto più prezioso è questo libro, dove possiamo visitarlo in figura. Chi lo avrà letto vedrà o rivedrà poi con altri occhi il gran pavimento alla sua prossima “scopertura” (sempre segnalata nel sito dell’Opera).