Con il voto contro il certificato europeo di filiazione, un acuto che si somma alla circolare contro i sindaci che trascrivevano gli atti di nascita delle famiglie arcobaleno, l’Italia si allontana dal cuore democratico del Continente.
Con motivazioni che nulla hanno a che fare con il testo della risoluzione europea, che consente il riconoscimento dei diritti dei figli all’interno dell’Unione indipendentemente da chi li ha concepiti, la destra si dimostra incapace di uscire dalle sue gabbie ideologiche e si pone in antitesi anche rispetto al sentire prevalente dei suoi stessi elettori. Non una sorpresa questa nel Paese che, quando ancora i cattolici erano una robusta maggioranza, disse di sì al divorzio e all’aborto.
Ma se la stagione dei diritti illumina il volto più conservatore e quasi reazionario della destra al governo, c’è un’altra questione che interpella anche la sinistra che aspira a prenderne il posto, quella guidata da Elly Schlein. Parliamo naturalmente del tema immigrazione. La neo-segretaria del Pd è stata molto brava a cogliere subito l’urgenza di andare a Cutro a rendere omaggio ai morti di un naufragio che si sarebbe potuto evitare, segnalando così l’enormità del caso. E ha fatto bene, nel suo discorso d’investitura alla Nuvola, a definire “una vergogna per l’Italia e per l’Europa” i mancati soccorsi al barcone in zona Sar libica di domenica scorsa. Ma se è chiara la parte destruens della proposta democratica, ovvero la critica anche feroce delle politiche securitarie del governo, la denuncia della spietatezza del ricacciare nella clandestinità migliaia di persone togliendo loro la protezione umanitaria, meno chiara è la parte propositiva.
Ovvero, nel concreto, non si è capito ancora quale sia la risposta alla domanda chiave: ma tu, al posto di Meloni, cosa faresti per affrontare decine di migliaia di arrivi illegali? Si è capito che il Pd, d’accordo con più Europa, Verdi e Sinistra Italiana, sostiene in Parlamento una serie di norme di civiltà che prendono le mosse dalla campagna “Ero Straniero”. Ma sono in gran parte questioni che riguardano l’accoglienza dei migranti economici già in Italia, non il problema a monte dell’immigrazione. Che, come ha detto ieri il Presidente Mattarella in Kenya, resta “un fenomeno di dimensione epocale e crescente”.
L’impressione è che su questo terreno il nuovo Pd fatichi a trovare una sua strada, quando si tratta di uscire dal terreno delle critiche alle farneticazioni della destra su blocchi navali e porti chiusi. E la mancata risposta a quella fatidica domanda ha a che fare con il giudizio ancora aperto sulla stagione dei tre presidenti del Consiglio del Pd che si trovarono ad affrontare (a mani nude, con l’Italia davvero sola) la prima imponente ondata migratoria dall’Africa: Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Inutile ricordare che il protagonista assoluto di quella stagione sia stato l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, che plasmò la risposta italiana al problema ed è diventato negli anni seguenti, per una parte della sinistra — quella delle Ong e dei movimenti No Borders — la matrice di tutti gli errori conseguenti. Si sono diffuse e radicate delle opinioni così negative su quella stagione di governo che spesso prescindono dai fatti e dalla memoria storica. Fu durante quei governi a guida Pd che la Libia è diventata la porta d’ingresso per i movimenti migratori dell’intero continente africano. E nella affannosa ricerca di soluzioni a un problema che rischiava di travolgere la democrazia italiana, sotto attacco dei populisti di ogni colore, i governi Letta-Renzi-Gentiloni abbozzarono delle risposte multiple: accoglienza diffusa nei comuni italiani, soccorsi in mare e trattative con i paesi di partenza e di transito per stroncare i traffici di esseri umani, corridoi umanitari, pressioni sull’Ue per affrontare in maniera unitaria il controllo dei confini e rivedere il regolamento di Dublino. Ci furono errori, ma in Libia fu grazie all’Italia se le organizzazioni internazionali poterono entrare per la prima volta a monitorare la situazione dei campi di prigionia (che preesistevano a Minniti). In una Libia dove ancora ampie porzioni di territorio erano in mano al Daesh, che comandava a Sirte, il governo di allora scommise sulla stabilizzazione di al-Sarraj, formando la guardia costiera libica per i compiti disearch and rescue. Quella stessa guardia costiera che, negli anni, è diventata il simbolo del male per le ong del soccorso ai migranti. Fu un errore? Possibile, ma ricordiamoci anche cosa faceva il resto dell’Europa. Niente. Resterà nella storia la frase della cancelleria Merkel che fece piangere una bambina palestinese dicendole: “Non potete venire tutti qui”.
L’ondata migratoria ha fatto crescere l’estrema destra in Germania e in tutta Europa, ha offuscato la mente degli inglesi portandoli alla Brexit, ha gonfiato i voti di Salvini e poi Meloni.
Fare di Minniti il capro espiatorio del distacco sentimentale del Pd dai suoi elettori non aiuterà il gruppo dirigente dem a ritrovare la strada verso una sinistra di governo. Senza una riflessione pacata e matura su quella stagione, premessa necessaria per abbozzare delle risposte legislative e politiche all’altezza della situazione, i democratici lasceranno sempre aperta alla peggiore destra un’autostrada.