
DIGEST STRATEGICO – Sabato 22 novembre 2025
22 Novembre 2025
PERCHÉ NON È DA UTOPISTI OPPORSI AL RIARMO EUROPEO
22 Novembre 2025
di Andrea Laffranchi
Hai voglia le imitazioni e le parodie… La voce di Ornella Vanoni era unica. Quel timbro nasale, ma allo stesso tempo sensuale e vellutato ha rappresentato la parte più intellettuale — del resto gli esordi con Strehler che, innamorato pazzo, si inventò per lei il mondo delle canzoni della mala qualcosa conteranno — quella più radical chic della canzone italiana. Che però non le bastava. La ricerca di una musica di pari classe la portò verso il mondo della bossa nova nel 1976 con quel capolavoro che è «La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria» insieme a Toquinho e Vinícius de Moraes e con i testi di Sergio Bardotti. Dieci anni più tardi la voglia di esplorare la spinse in America a incontrare i grandi del jazz per metterli al servizio della sua voce e delle canzone italiana: «Ornella &…, duetti, trii e quartetti» rivisitava Battisti, Cocciante, Dalla e De Gregori e altri con nomi del calibro di George Benson, Gil Evans, Herbie Hancock. Non che in Italia non avesse scelto bene… Lei stessa scriveva con elegante leggerezza («Vai Valentina» e «Rossetto e cioccolato» ad esempio), ma i grandi autori (Dalla, De André) facevano la fila. Il primo fu Gino Paoli, che nel 1961 le regalò «Senza fine», di cui Ornella è musa non solo perché è pensata per la sua voce ma perché è proprio lei la donna, con quelle «mani grandi» che trascina la vita «senza un attimo di respiro». Nonostante questo lato sofisticato, più volte premiato al Tenco, non aveva paura di fondersi con il nazional-popolare. Era stata otto volte in gara a Sanremo e colpisce pensare che «La musica è finita», firmata da Califano, Bindi e Nisa, nel 1967 si piazzò solo al quarto posto. Insomma, gli errori — «Ho sbagliato tante volte ormai…», uno degli incipit più famosi del nostro canzoniere — non erano quelli musicali.





