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La partita che si sta giocando attorno a Mediobanca e a Banca Generali è molto più di un’operazione finanziaria: è una sfida di potere che coinvolge banche, assicurazioni, grandi azionisti e anche il governo. La Banca Centrale Europea ha dato il via libera a Mediobanca per lanciare un’offerta pubblica di scambio su Banca Generali, un’operazione da 6,3 miliardi che prevede il conferimento di azioni Generali già in mano a Piazzetta Cuccia in cambio del controllo della banca guidata da Gian Maria Mossa. L’offerta include un premio per gli azionisti di circa il 14,5% e viene presentata come un passo strategico per rafforzare il polo del risparmio gestito, consolidando i rapporti con il Leone di Trieste. Ma per essere avviata serve l’approvazione dell’assemblea dei soci di Mediobanca, convocata per il 21 agosto, con una partecipazione attesa tra il 75 e l’80% e la necessità di raccogliere almeno il 35% dei voti favorevoli.
Il fronte interno è spaccato. Da una parte ci sono fondi internazionali e proxy advisor che raccomandano di votare a favore, e che vedono nell’operazione una mossa industrialmente sensata. Dall’altra parte pesa il blocco degli azionisti che si oppongono o che sceglieranno di astenersi: tra questi la Delfin della famiglia Del Vecchio (19,9%), Caltagirone (9,9%), le casse previdenziali, Unicredit e i Benetton attraverso Edizione. Insieme arrivano a oltre il 40%, e potrebbero rendere molto difficile la strada per il sì. La situazione si complica perché nello stesso momento è in corso un’altra offensiva: quella di Monte dei Paschi, che ha già raccolto adesioni per circa il 19% delle azioni di Mediobanca, grazie soprattutto alla mossa di Delfin, intenzionata a spostare il proprio peso verso Siena. L’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, punta a raggiungere almeno il 35% delle adesioni, soglia sufficiente per avere un controllo di fatto su Mediobanca, anche se l’obiettivo dichiarato resta molto più ambizioso.
Il confronto tra Mediobanca e Mps non è solo numerico, ma politico e industriale. Mediobanca vuole rafforzarsi nel wealth management, cercando continuità e stabilità nei rapporti con Generali. Mps invece prova a proporsi come nuova guida del sistema, con l’appoggio di azionisti pesanti e di un governo che guarda con favore alla scalata. Delfin ha scelto apertamente di sostenere Siena, rinunciando a un premio immediato ma puntando su un progetto che considera più solido nel lungo periodo. Nagel, dal canto suo, difende l’operazione con Banca Generali come un piano credibile e già discusso da anni, ma deve fare i conti con il tempo che stringe: l’offerta di Mps scade l’8 settembre, e difficilmente l’integrazione con Banca Generali potrà essere completata prima.
Dietro i numeri e le percentuali resta però un nodo politico ed economico che pochi affrontano apertamente: il rischio che queste operazioni si riducano a una pura battaglia di potere, senza una vera riflessione sul futuro del credito in Italia. In un Paese dove negli ultimi anni i prestiti alle piccole imprese sono calati drasticamente, mentre la concentrazione bancaria aumenta, la domanda è se queste mosse servano davvero a rafforzare il sistema produttivo o se siano solo partite di palazzo. Il voto di giovedì dirà se Mediobanca potrà continuare con la sua strategia o se dovrà piegarsi alla pressione di Mps e dei suoi alleati, ma la questione più grande resta aperta: quale modello di banca e di finanza serve all’Italia nei prossimi anni.