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La decisione di Giorgia Meloni di presentare in Parlamento una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina è stata presentata come un gesto di coraggio, ma ha tutta l’aria di una mossa di calcolo politico. Non è un’apertura reale, piuttosto un modo per occupare il centro del dibattito, prendere tempo e spostare la pressione dalle piazze alle opposizioni.
La mozione arriva dopo settimane di silenzio e dopo manifestazioni di piazza in cui migliaia di persone hanno chiesto al governo una presa di posizione più netta contro la guerra a Gaza. È un segnale di reazione, non di visione. Meloni pone condizioni difficilmente realizzabili — la liberazione di tutti gli ostaggi da parte di Hamas e l’esclusione di Hamas da qualsiasi ruolo politico — trasformando il riconoscimento in un atto quasi irraggiungibile.
Così, il governo potrà dire di aver fatto la sua parte, ma senza spingersi troppo oltre né scontentare gli alleati internazionali, in particolare Israele e gli Stati Uniti. Non è un caso che il leader della Lega, Matteo Salvini, abbia già preso le distanze, segno che la mossa è anche un test di tenuta per la maggioranza.
Il vero nodo politico è che questa iniziativa rischia di restare un atto puramente simbolico, un diversivo utile a spostare l’attenzione in piena campagna elettorale. Invece di proporre un piano concreto per il cessate il fuoco, per la protezione dei civili e per un ruolo attivo dell’Italia nei negoziati internazionali, si sceglie di scaricare la responsabilità sulle opposizioni, accusandole di “ambiguità” se non si allineano.
Se il governo non passerà dalle parole ai fatti, questa mozione sarà ricordata come l’ennesimo esercizio di retorica in un paese che ha sempre meno fiducia nella politica. E la credibilità internazionale dell’Italia, di fronte a un conflitto che sta lacerando il Medio Oriente e l’opinione pubblica mondiale, resterà sospesa a mezz’aria.