L’anno zero dei dem guerra, lavoro, unità le prime sfide della leader
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27 Febbraio 2023L’analisi
di Roberto Gressi
È il risultato di una partecipazione al voto molto superiore alle aspettative, che segna un cambio di linea e una spaccatura nella principale forza di opposizione. E la divisione riguarda anche il giudizio sulle primarie: insostituibile strumento di democrazia o trappola che rende il Pd scalabile? La fibrillazione è massima e tornano a riaffacciarsi le ipotesi di scissione, con l’ala più riformista che si sente messa nell’angolo. E con il rischio che i Dem si rinchiudano in una ridotta movimentista, perdendo l’ambizione maggioritaria del Pd delle origini, che puntava a unire parti grandi e diverse della società. Ora è una lunga strada in salita quella che attende Elly Schlein e il Partito democratico. La prima verifica importante arriverà tra un anno, quando le elezioni europee, con il voto proporzionale, racconteranno quale sarà la vera forza dei partiti, dopo la svolta che ha portato Giorgia Meloni e la sua coalizione alla guida del Paese, e con gli sfidanti d’area, Cinque stelle e Terzo polo, che non hanno rinunciato all’idea di condannarlo a un’inesorabile decadenza. Schlein non ha fatto mistero di voler cambiare il gruppo dirigente, pur senza ricorrere alla rottamazione, e ha annunciato il ricorso alle primarie per scegliere i candidati alle elezioni. Dovrà però stare attenta a non limitarsi a sostituire i vecchi viceré con nuovi potentati. Ma tutto questo è poco più che questione di bottega. La prova vera che la attende è quella delle scelte politiche. Prima fra tutte il rapporto con il governo. Se Bonaccini aveva promesso un’opposizione basata sui fatti e non pregiudiziale, la nuova leader è di avviso opposto e non rinuncerà certo a giocare la carta del «donna contro donna» nella sua sfida a Giorgia Meloni. Non c’è dubbio che la sua segreteria punterà a schierare il partito molto più a sinistra. Lotta al precariato e contro il contratti a termine, difesa del reddito di cittadinanza, un cambio di passo sui migranti, con il sì deciso allo ius soli e il no agli accordi con la Libia, una linea molto spinta sui diritti civili, il sì alla legalizzazione della cannabis. Sono idee che la portano ad essere molto più concorrenziale ma anche assai più vicina ai Cinque stelle, senza rinunciare a connotazioni populiste, mentre nel campo delle alleanze segna una distanza quasi incolmabile con i programmi di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Ma è anche sulla politica internazionale che il pensiero della nuova leader segna una frattura. Enrico Letta ha lasciato in eredità al Pd una politica di totale sostegno all’Ucraina, in piena sintonia con l’Europa e gli Stati Uniti. Schlein non ha certo simpatie per Putin ma non condivide l’idea che continuare a fornire armi sia la strada giusta per arrivare alla pace. Non è al momento un sovvertimento della linea fin qui seguita, ma non si tratta nemmeno di una pura questione di accenti, tanto più con la pressione dei sondaggi che fotografano un’Italia stanca di guerra. Ma al di là dei singoli temi quello che pare delinearsi è un robusto cambio di natura e di identità del Partito democratico.