La collaborazione di Curzio Maltese con Domani è durata poco meno di un anno, la malattia che già lo aveva tanto provato negli ultimi anni lo ha spento domenica 26 febbraio. Anche un periodo così breve di percorso comune lascia però alcune eredità importanti.

La prima è l’affetto, comprensibile ma sempre sorprendente, che circondava la persona e la firma di Curzio. I suoi editoriali del lunedì, che fossero pieni di amarezza o con una scintilla di speranza, stimolavano sempre lettere, reazioni, risposte social.

La salute lo ha costretto a eclissarsi, prima di Natale, e in tanti hanno scritto per informarsi su come stava e sul perché non si vedeva più la sua firma.

Quando abbiamo dovuto dare la notizia della sua scomparsa, in tantissimi, nel giornalismo, ma anche nella politica, hanno fatto sentire a Domani e soprattutto alla moglie di Curzio, Paola Ponti, affetto e vicinanza.

Mi permetto di citare per nome Paola perché ha rappresentato anche una parte importante dell’ultimo tratto del percorso professionale di Curzio Maltese, l’unico aspetto della sua non lunga ma intensa vita del quale mi compete parlare.

Curzio Maltese ha sempre coltivato una fiducia incrollabile quanto romantica nel potere della parola di incidere sulla società, attraverso la forma del giornalismo di opinione, mai neutrale, sempre impegnato, di battaglia.

Purtroppo, la malattia gli aveva reso difficile tradurre la lucidità mai intaccata dell’analisi in parole. Ma l’incrollabile sostegno di Paola ha permesso in questi anni a Curzio di recuperare la capacità di partecipare alla discussione pubblica della quale è stato un protagonista per decenni. Proprio le difficoltà che ha dovuto superare per riconquistare una modalità di espressione che gli era sempre stata naturale ha reso le parole di Curzio ancora più pesate, centellinate.

Nei suoi editoriali per Domani c’erano alcuni temi ricorrenti: la delusione per alcune promesse tradite dai Cinque stelle, ai quali Curzio aveva dato fiducia, l’amarezza per il declino del Pd, l’indignazione per una destra alla quale gli elettori sembrano perdonare tutto.

Maltese non ha mai preteso di essere un osservatore neutrale, anzi: il giornalismo per lui è stato una forma di impegno civile, molto più della parentesi da europarlamentare tra 2014 e 2019.

Nel formato compatto degli editoriali da prima pagina di Domani Maltese condensava le sofferenze dell’elettore di sinistra con quella forma di indignazione e ironia che pochi, a parte Nanni Moretti, hanno saputo incarnare in questi anni.

Si percepiva anche un sottofondo di amarezza più personale negli editoriali di Curzio.

Erano gli articoli di uno che si sentiva sopravvissuto al proprio tempo: non soltanto per la riabilitazione lenta, faticosa ma riuscita dopo il primo incontro con la malattia che alla fine se l’è ripreso, ma perché tutto l’universo giornalistico di Curzio era  evaporato.

Non ci sono più i giornali che lo inviavano in giro per il mondo a seguire i grandi eventi, per avere il suo punto di vista mai banale sulla società, che si trattasse di sport o cinema (come a tutti i giornalisti di quella generazione non mancavano certo gli aneddoti su un mondo che, a chi fa il giornalista oggi, riesce difficile perfino credere che sia esistito davvero).

Non c’è più la tensione civile degli anni del berlusconismo che dava un senso anche all’essere opposizione eternamente sconfitta. Di fronte al ritorno della destra gran parte della sinistra, anche giornalistica, resta passiva e mal nasconde una inconfessabile ammirazione.

Alla fine, non c’è più stata neppure la sua amata Repubblica, della quale Curzio Maltese è stato, più che un editorialista,  l’incarnazione.

Molti anni fa, molto prima di lavorarci insieme, alla presentazione di un suo libro mi pare di ricordare che abbia detto qualcosa come: «I lettori di Repubblica mi fermano per strada e mi dicono che ho scritto proprio quello che loro pensano e lo trovo il migliore dei complimenti».

All’epoca non avevo capito il senso di quella completa immedesimazione, ma è diventato più esplicito quando quel nesso si è rotto.

Prima Repubblica ha preso una strada moderata, equidistante, non più ingaggiata in una battaglia quotidiana, e poi Curzio Maltese, esule in patria, è andato in pensione e si è congedato dal giornale e dalla sua rubrica del Venerdì senza una riga di polemica o di delusione.

Ha ricominciato su Domani con lo stesso entusiasmo di uno che, anche dopo i sessant’anni, continuava a sembrare sempre un ragazzino felice di essere riuscito a fare un mestiere che gli piaceva tanto.

Curzio Maltese è morto il giorno delle primarie del Pd, che di certo avrebbe voluto commentare, con il solito misto di delusione razionale e speranza irrazionale. La sua scelta l’aveva già fatta a fine novembre, in uno dei suoi ultimi editoriali, quando aveva scritto: «Tra le proposte di rinnovamento del Partito democratico, al momento Elly Schlein appare come la migliore speranza».