La testimonianza
Migliaia di rifugiati sono subito corsi a Khan Yunis per vedere che cosa è rimasto delle loro case La minaccia dell’invasione dovrebbe essere scongiurata
KHAN YUNIS — Dopo tanto tempo finalmente un po’ di speranza. Qui a Gaza noi palestinesi abbiamo accolto con stupore e felicità la notizia che l’esercito israeliano si è fondamentalmente ritirato dal Sud della Striscia, lasciando solo una brigata. E ne abbiamo subito approfittato per abbandonare la “prigione” di Rafah, la cittadina nell’estremo Sud, vicina al valico con l’Egitto, dove gli israeliani ci avevano costretto a trasferirci.
Migliaia di rifugiati sono dunque subito corsi a Khan Yunis a vedere cosa fosse rimasto delle loro case. Anch’io ho preso la mia macchina e da Rafah sono risalito. Insieme a due familiari mi sono fermato a Hamad City, un quartiere nella parte occidentale di Khan Yunis che, come dice il nome, è considerato una città a parte. Costruito pochi anni fa, ha un design moderno e palazzi molto simili, e bei centri commerciali e supermercati. O almeno li aveva, prima dell’ultima invasione israeliana. Di quel quartiere in cui andavo a far visitare un caro amico – che ora si è provvisoriamente riparato a New York con la famiglia grazie a un visto ottenuto dalla Ong americanaper cui lavora – è rimasto ben poco, la maggioranza degli edifici sono distrutti o bruciati. Ho visto interi palazzi in cenere. Appartamenti vandalizzati. Su un muro c’era la scritta “Berger’s revenge”, la “vendetta di Berger”. Chissà se Berger è il nome del soldato che si è vendicato o se quello di un israeliano ucciso da Hamas. Chissà soprattutto se in questo caso la casa di quella famiglia aveva nulla a che fare con Hamas. Ne dubito, considerando come questa guerra, in nome della vendetta per il 7 ottobre, abbia ucciso indiscriminatamente decine di migliaia di innocenti palestinesi.
A Hamad City sono andato a vedere cosa fosse rimasto di un appartamento degli Al Azha, una famiglia che ci ha ospitato quando eravamo, non lontano da queste strade, a Khan Yunis. Le finestre sono distrutte, così come i mobili e come le porte, fatte saltare in aria con l’esplosivo dai soldati israeliani in cerca di militanti di Hamas. Ma per il resto l’appartamento è ancora agibile, per fortuna.
Per strada ho visto tanta gente che urlava disperata, perché la loro casa era distrutta e avevano dunqueperso tutto: scavavano ancora tra le macerie in cerca di qualche vecchio oggetto o qualche ricordo, perché quando sono scappati lo hanno fatto di corsa, tutti siamo riusciti a prendere solo un po’ di cibo e i documenti di identità quando l’esercito israeliano ci ha ordinato di andarcene perché doveva iniziare il bombardamento e l’invasione. Oggi scavano e cercano di salvare quei ricordi anche dai ladri, che pure in questa tragedia non mancano. Altri invece – le contraddizioni di una guerra senza pietà – erano felici, era bello guardare le facce incredule davanti a un appartamento salvo, magari invaso e distrutto dai cecchini israeliani, ma pur sempre intatto: sperano di riparlarlo e ricominciare da lì la loro vita, se Israele lo permetterà.
La loro felicità è condivisa oggi da tanti palestinesi. L’annuncio del ritiro israeliano dal Sud arriva a sorpresa e ci fa sperare proprio perché non ha senso. Ora infatti non solo gli abitanti del Sud saranno liberi di circolare, ma anche quei famosi militanti di Hamas che Israele stava cercando e si erano nascosti nei tunnel, quelli per cui ha raso al suolo le nostre città e le nostre vite. Come si spiega che Israele decide di perdere il controllo di Rafah e Khan Yunis dopo mesi di bombardamenti e assedio? Si spiega solo con la pressione americana. Abbiamo letto il duro comunicato della Casa Bianca. Gli Stati Uniti vogliono che la guerra finisca. E così il governo israeliano, pur controvoglia, sta alla fine cedendo. Il ritiro dal Sud è un buon segno per noi, significa che Rafah non verrà invasa: quella minaccia finale, contro cui si sono spesi pure gli Usa e l’Ue, non verrà attuata. Sinceramente non credevo che sarebbe andata così.
A Rafah ho fatto la spesa e, dopo la tappa a Hamad City, andrò a trovare mia madre, per celebrare insieme a lei e a quel che resta della mia famiglia, tra qualche giorno, la festa di fine Ramadan. Speriamo davvero che potremo festeggiare l’inizio della fine della guerra di Gaza, l’inizio di una nuova vita.