Trattativa Hamas-Olp prima volta senza Bibi
14 Febbraio 2024“Bibi uccide lo Stato nato sulle ceneri di Auschwitz”
14 Febbraio 2024
di Massimo Gaggi
Il politologo Bremmer: Biden è un leone in gabbia
NEW YORK Cresce la pressione su Israele delle opinione pubbliche occidentali, dei governi europei e anche di Washington davanti alle decine di migliaia di vittime civili della guerra contro Hamas (la «reazione sproporzionata» della quale parla anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani), ma le possibilità di mettere fine al conflitto entro il 2024 sono minime: Joe Biden è furioso col premier israeliano Benjamin Netanyahu, ma non ha strumenti di pressione efficaci e anche all’interno i suoi margini di manovra sono limitati in un Congresso nel quale deve fare i conti con l’ala filoebraica del suo partito, oltre che con i repubblicani. Mentre Netanyahu, benché debole e detestato in patria, per ora è inamovibile: la coalizione di governo non ha valide alternative e per un popolo che, comunque, vuole andare fino in fondo nella distruzione di Hamas, il premier è, comunque, garanzia di tenuta rispetto alle pressioni esterne per porre termine al conflitto senza aver rimosso la sua causa. Troppo forte il timore di un permanente «Hamastan».
Il politologo Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, non nasconde il suo pessimismo circa l’evoluzione della crisi a Gaza.
Il Segretario di Stato Anthony Blinken è tornato dal Medio Oriente a mani vuote, pare. Ma gli alleati di Israele sono sempre più inquieti e una tregua sembra ancora possibile.
«Le condizioni non sono ancora mature, ma si arriverà a una tregua. Purtroppo non sarà risolutiva. Immagino una sospensione dell’offensiva israeliana per un mese o poco più e un rilascio non ancora totale degli ostaggi. Ma poi gli scontri riprenderanno perché non sono cambiate le condizioni di fondo. Israele resta lontano dal raggiungimento dei suoi obiettivi: Hamas è ancora forte, ha sparato anche oggi razzi contro Israele dalla parte nord della Striscia di Gaza, teoricamente “bonificata” dall’esercito di Netanyahu. E la leadership di Hamas è quasi intatta. Difficile trovare in Israele qualcuno che sia favorevole a deporre le armi senza aver distrutto la forza militare di Hamas. Magari domani l’esercito intercetta ed elimina il capo, Yahya Sinwar, ma non si fanno analisi puntando su colpi di fortuna».
Biden è furioso, pare che in privato dica cose tremende su Netanyahu.
Lo scenario
Israele resta lontano dal raggiungimento dei suoi obiettivi: la leadership di Hamas è quasi intatta
«Magari prima o poi lo farà anche in pubblico. È in una situazione terribile. E pensare che è sempre stato filoisraeliano, addirittura pro sionista. Dopo il 7 ottobre pronto a tutto per Israele. Ma dopo quattro mesi di un conflitto feroce con perdite civili così massicce, una guerra difficilmente finirà prima delle presidenziali del prossimo novembre, Biden è un leone in gabbia: all’interno è stretto tra un’opinione pubblica, anche democratica, sempre più ostile al sostegno americano a Israele e un Congresso nel quale è fortissima la componente filoebraica. E come può frenare Netanyahu? Potrebbe minacciare di sospendere gli aiuti, ma l’incidenza Usa sul bilancio della difesa dello Stato ebraico è appena del 12 per cento: non è decisivo».
L’America, però, ha la regia del riavvicinamento dell’Arabia Saudita a Israele: essenziale per la futura convivenza pacifica di uno Stato ebraico circondato dal mondo arabo.
«Anche qui Biden ha pochi margini: oggi per Riad il rinnovo dell’accordo militare con gli Stati Uniti è prioritario rispetto alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Per far passare le nuove forniture militari, la Casa Bianca ha bisogno del voto del Congresso e, quindi, delle sue componenti filoebraiche».
A proposito di Congresso: dopo gli scontri delle scorse settimane, il Senato ha approvato un testo bipartisan, votato dai democratici e dalla metà dei repubblicani, che stanzia 95 miliardi di dollari di aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan. Alla Camera lo speaker trumpiano Mike Johnson fa muro. Come finirà? Non ci sono anche in quest’aula conservatori fedeli alle alleanze fin qui cementate dagli Usa, anche a costo di sfidare le ire di Trump?
«Il testo del Senato non passerà alla Camera: i repubblicani faranno di tutto per non metterlo in votazione. Credo che il negoziato sugli aiuti militari riprenderà quota a marzo quando, con le nuove scadenze di bilancio, bisognerà trovare un accordo per continuare a finanziare l’attività del governo».