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6 Novembre 2025Università di Siena, tra ricerca e rappresentazione: la parata degli “Spoke” del PNRR
La recente campagna di comunicazione dell’Università di Siena sui progetti PNRR ha il tono delle grandi occasioni: comunicati, interviste, numeri, foto ufficiali. Ma dietro la patina celebrativa si intravede un’altra operazione, più politica che accademica: quella di un Ateneo che cerca di riaffermare il proprio ruolo dopo anni di difficoltà e di progressivo ridimensionamento nel sistema universitario nazionale e nel tessuto cittadino.
L’enfasi sugli Spoke — tre in totale, dedicati a terapia genica e RNA, biodiversità terrestre e innovazione agroalimentare — serve a costruire l’immagine di un’università protagonista della ricerca nazionale. I toni sono quelli dell’eccellenza, della sinergia tra università e impresa, della transizione sostenibile. Ma dietro questa narrazione si legge anche una tensione identitaria: Siena cerca di dimostrare di contare ancora qualcosa in un sistema scientifico ormai dominato dai grandi poli del Nord e dalle università metropolitane.
Il caso più evidente è quello dello Spoke 5 del Centro Nazionale per la Terapia Genica e a RNA, coordinato dal professor Francesco Dotta. Il tema – RNA, vaccini, malattie autoimmuni – coincide in larga parte con quello del Biotecnopolo di Siena, nato come progetto di rilancio nazionale e poi affidato a una governance esterna all’Ateneo. La “parata” comunicativa di questi giorni appare dunque anche come una risposta indiretta a quella esclusione: un modo per rivendicare che la ricerca biotecnologica a Siena esiste e ha ancora un centro, anche se non più istituzionalmente riconosciuto.
Il confronto con gli altri atenei coinvolti chiarisce il contesto reale.
Negli Spoke di terapia genica e RNA, Siena condivide la scena con Padova, Milano, Tor Vergata, Federico II di Napoli, Verona, Humanitas e Firenze: università con strutture di ricerca e finanziamenti incomparabilmente più ampi.
Nel National Biodiversity Future Center, l’Ateneo senese coordina lo Spoke sulla biodiversità terrestre, ma dentro una rete guidata dal CNR e popolata da giganti come Bologna, Napoli, Torino, Palermo.
Un discorso a parte merita invece l’Agritech National Centre, dove Siena guida lo Spoke 9 su innovazione e tracciabilità delle filiere agroalimentari, sotto il coordinamento del professor Angelo Riccaboni e del Santa Chiara Lab. È il progetto che più esplicitamente mostra il passaggio da un modello di ricerca scientifica a uno di gestione strategica e comunicativa.
L’impianto interdisciplinare — che mescola economia, tecnologia, sostenibilità e filiere produttive — rispecchia la vocazione manageriale del Santa Chiara Lab, ma anche il rischio, comune a molti progetti PNRR, di una crescente ibridazione tra scienza e marketing, dove la dimensione progettuale tende a prevalere su quella della ricerca sperimentale. Siena, in questo contesto, appare meno come laboratorio scientifico e più come hub narrativo della sostenibilità, capace di coordinare partner e imprese ma con un impatto conoscitivo ancora da verificare.
In questo quadro, l’Università di Siena è un nodo periferico ma visibile, che sfrutta la capacità relazionale e la retorica dell’eccellenza per difendere una posizione fragile dentro una rete dominata da poteri accademici e industriali ben più consolidati.
Certo, coordinare uno Spoke significa accedere a risorse e partnership, e non è cosa da poco. Ma il rischio è che la dimensione comunicativa prevalga su quella scientifica, trasformando il PNRR in una vetrina di reputazione più che in un laboratorio di risultati. L’energia investita nel racconto di sé sembra spesso superiore alla forza della ricerca effettiva, che dipende da strutture, personale e continuità di finanziamenti ben più consistenti di quelli che Siena oggi può garantire.
Anche i dati sulle immatricolazioni, in aumento di circa il 9% secondo le fonti ufficiali, raccontano una dinamica analoga: un segnale incoraggiante, ma da interpretare. L’Ateneo è riuscito a invertire un trend negativo, probabilmente grazie a nuovi corsi e campagne di orientamento, ma resta da capire se si tratti di una crescita strutturale o temporanea. La reputazione dell’università non si misura solo nei numeri, ma nella qualità dell’esperienza formativa e nella capacità di trattenere e attrarre studenti motivati in un contesto competitivo e demograficamente in calo.
Sul piano locale, la posta in gioco è ancora più chiara. Dopo la crisi del Monte dei Paschi e lo stallo del progetto Biotecnopolo, l’Università tenta di tornare motore civile e simbolico di una città in cerca di direzione. Ma la distanza tra dichiarazioni e realtà rimane ampia.
La vera sfida non è apparire nei comunicati, bensì costruire un ecosistema che generi formazione avanzata, occupazione qualificata, impresa innovativa e una nuova relazione con la comunità senese.
Solo allora la “parata” potrà diventare sostanza, e non l’ennesimo esercizio di autolegittimazione.
Nota
Il presente articolo si basa su fonti pubbliche e su un’analisi critica dell’attività istituzionale dell’Università di Siena. Le valutazioni espresse rientrano nel legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica ai sensi dell’art. 21 della Costituzione e non intendono ledere l’onorabilità di persone o enti citati.





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