Dagli accordi di Abramo è nata la Middle East Air Defence: Paesi in pace tra loro che condividono dati sensibili. Un patto top secret che l’Europa vede con interesse
Dalla grande battaglia notturna potrebbe nascere l’embrione di un’idea diversa di Medio Oriente e di un nuovo paradigma della sicurezza globale in grado di estendersi addirittura fino all’Europa. Perché se Israele è riuscito a fermare le ondate di ordigni iraniani non è stato solo per l’efficienza della sua cupola antiaerea: il successo è dovuto soprattutto all’alleanza con i Paesi sunniti, mediata e gestita dagli Stati Uniti. Sulla scia degli accordi di Abramo è stata infatti tessuta la ragnatela di un’altra intesa, molto più riservata e operativa, chiamata Mead ossia Middle East Air Defence. Un patto top secret che mette insieme le informazioni dei radar oltre a coordinare le operazioni di caccia e batterie terra- aria di numerose nazioni arabe, legate allo Stato ebraico dalla volontà di fermare la potenza missilisticadi Teheran. Quanto questa collaborazione abbia pesato nella lunga notte dei droni lo si capisce dalla frase del ministro della Difesa Yoav Gallant: «Il mondo ha visto il potere di una coalizione: ha visto come Israele insieme con gli Stati Uniti e con altre nazioni hanno bloccato questo attacco in una maniera che non ha precedenti». Significa che c’è stato qualcosa di più dell’intervento dei jet giordani per falciare lo sciame dei pasdaran: a Israele sono arrivati dati vitali sull’inizio dell’assalto e sulla rotta degli incursori sparati dalla Repubblica Islamica. Li hanno forniti gli emirati del Golfo, secondo i meccanismi del Mead messi a punto dal Pentagono che vengono gestiti dal Centcom statunitense: non a caso il suo capo, il generale Michael Erik Kurilla, è rimasto fisicamente nel comando delle Israeli Defense Forces per tutta la durata della crisi.
La paura degli ayatollah ha dimostrato di essere più forte di 191 giorni di bombardamenti su Gaza, convincendo i reali sunniti a mettere da parte le critiche verso il governo Netanyahu per dare forza a uno scudo comune che non si era mai visto nella storia del Medio Oriente. Ovviamente, dopol’invasione terrestre della Striscia scatenata in risposta ai massacri di Hamas del 7 ottobre, i rapporti con lo Stato ebraico non trovano consenso tra la popolazione musulmana e l’attività concreta svolta l’altra notte viene tenuta segreta. Persino i nomi dei Paesi che aderiscono al Mead sono top secret ma è trapelato che da due anni nelle riunioni tecniche la mobilitazione contro gli artigli degli ayatollah ha messo allo stesso tavolo le autorità militari di Israele, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Uniti, Giordania, Egitto, Bahrein, Marocco.
Questa inedita coalizione ha superato una prova del fuoco micidiale e ora sta diventando il punto di riferimento per disegnare gli scenari futuri: un modello alternativo per dare nuovo impulso alle relazioni tra Israele e le monarchie sunnite, partendo dalla consapevolezza della situazione geopolitica. L’abbraccio tra Mosca e Teheran cementato nella guerra in Ucraina sta facendo crescere in maniera esponenziale la qualità dell’arsenale iraniano, grazie all’arrivo di armamenti russi d’ultima generazione come i cacciabombardieri Sukhoi 35, ma soprattutto grazie ai suggerimenti tecnici per migliorare la produzione di ordigni a lungo raggio. Sabato notte la propaganda filo-iraniana ha sostenuto che fossero entrati in azione missili ipersonici e droni Shaded 236 con motore a reazione, entrambi partoriti da questo scambio di tecnologie. Il sostegno economico di Pechino e l’intensificazione delle esercitazioni cinesi con le forze russe e iraniane non fa che aumentare i timori sull’eventualità che la Repubblica islamica possa cogliere il momento favorevole per alzare il tiro contro gli storici rivali sunniti. E le immagini dei missili che hanno invaso il cielo di Amman, Baghdad, Beirut hanno trasmesso un brivido di paura in tutte le capitali della regione: quella scagliata sabato è solo di una piccola porzione delle scorte accumulate dai pasdaran.
La minaccia non spaventa solo le corti arabe: la presenza al fianco di Israele di intercettori francesi e britannici nella battaglia notturna conferma quanto la preoccupazione contagi l’Europa. Ieri se ne sarebbe discusso anche al quartiere generale della Nato in una serie di riunioni informali con i rappresentanti statunitensi per capire come proteggere il Vecchio Continente, oggi totalmente privo di difese antimissile, da un’incursione simile: l’unico schermo può venire dalle batterie e dagli incrociatori americani.
Ecco che all’improvviso la vittoria contro lo sciame modifica equilibri e rapporti di forza. Il presidente Biden p uò chiedere a Netanyahu di fermare la ritorsione per l’attacco, mettendo sul tavolo una strategia più larga e più incisiva per affrontare la questione iraniana che non i raid omicidi contro i dirigenti dei Guardiani della Rivoluzione. Biden è stato il regista del Mead, a cui aveva iniziato a lavorare già quando era vice di Obama, e ora può indicarlo come l’architrave concreto di un’iniziativa di respiro strategico che può rilanciare la tela diplomatica strappata dalle stragi di Hamas e dalle vittime civili di Gaza.
Non a caso, nel 2022 l’artefice israeliano dell’accordo anti-iraniano è stato l’allora ministro della Difesa Benny Gantz: il membro del gabinetto di guerra che pochi giorni fa ha chiesto le dimissioni di Netanyahu. E che ieri ha invocato la creazione una “coalizione regionale per contrastare Teheran”: «Il mondo si è unito a noi per fronteggiare il pericolo e questo è un successo strategico per il nostro Paese – ha dichiarato – che può diventare un’ancora di sicurezza per il Medio Oriente». Un’altra visione, che può cambiare tutto. All’interno e all’esterno di Israele.