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Con il 62% in tasca Mps controlla Mediobanca, ma la vera sfida è trattenere manager e clienti
Il Monte dei Paschi di Siena ha portato a termine una delle operazioni più importanti della finanza italiana degli ultimi anni: con l’adesione del 62,3% del capitale, la banca senese ha conquistato Mediobanca. Un passaggio che non solo ridisegna gli equilibri nel settore bancario, ma apre anche la strada al controllo di un pezzo fondamentale di Generali, il gigante assicurativo triestino.
L’offerta pubblica di scambio lanciata da Mps ha convinto grandi azionisti di peso: la holding Delfin della famiglia Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone, i Benetton, l’Enpam e importanti fondi internazionali come Fidelity e Vanguard. Superata la soglia del 50% più uno, Mps può governare Mediobanca con un margine di sicurezza. Il vantaggio non è solo politico e strategico. La fusione consente anche un utilizzo più rapido delle cosiddette deferred tax assets, crediti fiscali che per il Monte valgono circa 500 milioni nei prossimi sei anni.
Il successo segna la fine di un’epoca. L’amministratore delegato Alberto Nagel, alla guida di Mediobanca dal 2007, si prepara a lasciare insieme all’intero consiglio di amministrazione. Il 18 settembre il cda prenderà atto dell’esito dell’operazione e convocherà l’assemblea per nominare i nuovi vertici, scelti da Mps e dai suoi alleati. Ma il ricambio potrebbe non fermarsi qui. In operazioni di questo tipo è frequente che anche altri manager scelgano di uscire, portando con sé competenze e soprattutto rapporti personali con la clientela. Mediobanca, per la sua storia, ha costruito buona parte della propria forza proprio su queste relazioni fiduciarie. Se dirigenti di peso dovessero lasciare, potrebbero trascinare fuori anche una parte dei clienti più fedeli, con conseguenze sul business e sulla reputazione.
Con Mediobanca passa di mano anche il 13,1% di Generali, la più grande compagnia assicurativa italiana. Sommandolo alle quote personali di Caltagirone e della famiglia Del Vecchio, la nuova alleanza arriva a controllare circa il 30% della società. Una posizione che consente di influenzarne in maniera decisiva le scelte future, pur senza superare la soglia del 25% che obbligherebbe a un’opa totale.
La soglia del 66,7% sarebbe utile per decisioni straordinarie, ma non è indispensabile. Con oltre il 62% Mps dispone già di un controllo saldo e potrà eventualmente rafforzarlo nella finestra di riapertura dell’offerta prevista a metà settembre. In ogni caso, la conquista è considerata pienamente riuscita.
Il governo ha sostenuto l’operazione, vedendola come un modo per rafforzare il sistema finanziario nazionale e creare un terzo polo bancario capace di competere con Intesa Sanpaolo e UniCredit. Le stime parlano di sinergie fino a un miliardo di euro l’anno e un ritorno atteso intorno al 13% entro il 2027.
La scalata a Mediobanca non è stata solo una partita di potere, ma anche un grande affare economico per diversi protagonisti. Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio guidata da Francesco Milleri, ha visto crescere il valore delle proprie partecipazioni di circa 848 milioni di euro dall’inizio dell’anno. Francesco Gaetano Caltagirone ha incassato un guadagno potenziale di 428 milioni, grazie alle quote detenute sia in Mps sia in Mediobanca. Non solo i privati: anche lo Stato ha beneficiato della corsa dei titoli. La partecipazione del Ministero dell’Economia in Mps ha guadagnato oltre 200 milioni di euro. E persino il Banco Bpm, che possiede circa il 9% del Monte, ha visto un incremento di valore superiore ai 60 milioni.
Tra i beneficiari ci sono poi i grandi fondi internazionali, come BlackRock, che controlla più del 5% di Mediobanca e ha registrato un apprezzamento di circa 170 milioni. Anche i manager di Piazzetta Cuccia hanno visto migliorare sensibilmente il valore delle loro stock option: il pacchetto di azioni intestato a Nagel è passato da 49 a oltre 62 milioni, mentre il presidente Pagliaro e il direttore generale Vinci hanno guadagnato diversi milioni ciascuno. In sostanza, la battaglia non ha prodotto solo un nuovo assetto di potere: ha distribuito dividendi impliciti a un ampio spettro di azionisti, dal grande imprenditore allo Stato, passando per i gestori internazionali.
Non mancano però le ombre. L’agenzia Fitch ha avvertito che l’operazione, per la sua natura ostile, potrebbe indebolire Mediobanca: rischi di integrazione difficile, perdita di clienti chiave, attriti culturali e gestionali. In altre parole, la conquista è stata un successo sul piano finanziario, ma la vera sfida comincia adesso: trattenere i talenti, conservare la fiducia della clientela e dimostrare che il nuovo colosso non solo funziona sulla carta, ma riesce a crescere nella realtà.