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Nei giorni che precedono il vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, previsto per venerdì, il clima politico internazionale è diventato incandescente.
A sorprendere le cancellerie europee è stata la notizia che né l’Ucraina né l’Unione Europea parteciperanno al tavolo principale: i due presidenti discuteranno da soli della guerra, lasciando a Kiev e all’Europa un ruolo secondario.
Trump ha confermato che con Putin parlerà di “possibili scambi di territori”, e qualsiasi proposta a Zelensky sarà frutto esclusivo di quel faccia a faccia. Il leader ucraino, al massimo, potrà intervenire in collegamento o in incontri marginali. Una scelta che, secondo molti, rappresenta un’umiliazione non solo per Kiev, ma anche per l’Europa, relegata a spettatrice di una trattativa che riguarda direttamente la sua sicurezza.
Da Londra, Berlino e Parigi il messaggio è stato netto: la pace dovrà essere decisa dagli ucraini e non potrà premiare chi ha aggredito. L’Alta rappresentante dell’Ue, Kaja Kallas, ha ribadito tre punti fermi: rifiuto di modifiche territoriali imposte dalla forza, nuove sanzioni contro Mosca e garanzie di sicurezza “a prova di ferro” per Kiev.
Secondo diversi analisti, l’incontro è parte di una strategia di Putin per guadagnare tempo, apparire aperto al dialogo e soprattutto mettere alla prova la tenuta dell’alleanza tra Stati Uniti ed Europa. La decisione di recarsi in America, interpretata come un gesto di deferenza verso Trump, è vista come un’operazione di immagine studiata per influenzare il presidente statunitense.
Le indiscrezioni sull’accordo in discussione destano forte preoccupazione: riconoscimento del Donbass occupato, congelamento delle linee al sud e ritiro russo solo da porzioni minori di territorio. In cambio, Mosca chiederebbe la neutralità permanente dell’Ucraina e una sua smilitarizzazione. Un compromesso che rischierebbe di spaccare l’opinione pubblica ucraina e minare la stabilità interna.
Per contrastare questo scenario, Germania, Francia e Regno Unito hanno convocato un pre-vertice con Trump e Zelensky, coinvolgendo altri leader europei e la Nato, con l’obiettivo di presentare in Alaska una posizione comune e impedire che la pace sia scritta solo da Mosca e Washington.
Ma l’incognita resta Trump: imprevedibile e incline ai colpi di scena, potrebbe proclamare un “successo” diplomatico che, in realtà, non cambierebbe i rapporti di forza sul campo. Intanto, le forze ucraine continuano a resistere, ma la guerra logora uomini e risorse, mentre Mosca punta a far scorrere il tempo a proprio vantaggio.
Il summit in Alaska potrebbe segnare una svolta storica, ma il rischio è che sia nella direzione sbagliata: un accordo pensato più per la convenienza politica dei protagonisti che per la sicurezza e l’autodeterminazione dell’Ucraina. Questa volta, l’Europa dovrà decidere se limitarsi a guardare o provare a far sentire davvero la propria voce.