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Che città emerge?
Di Pierluigi Piccini
Guardando insieme due iniziative solo in apparenza lontane – il festival Xenos al Santa Maria della Scala e il programma natalizio Siena Incanta – prende forma un’immagine nitida della città. Non quella di un sistema che cresce, ma di una città che si rappresenta: si illumina, si traveste, si mette in scena. È una Siena che lavora sulla superficie, mentre la struttura resta fragile.
Non è un atto d’accusa contro gli eventi in sé: Xenos è un progetto colto e ben curato, ma resta un’operazione opaca: non sono stati resi noti né i partecipanti, né i mezzi – economici, organizzativi e logistici – messi in campo da Si.Ge.Ri.Co. per realizzarlo; il Natale, dal canto suo, costruisce un’atmosfera diffusa e piacevole.
Il punto è ciò che questi eventi, messi l’uno accanto all’altro, rivelano della strategia complessiva: Siena appare come un palcoscenico più che come un luogo di produzione; una città-emozione più che una città-sistema. Una vetrina, ma che non genera il valore che una comunità dovrebbe attendersi dalla cultura.
La spettacolarizzazione ha una sua efficacia immediata: concentra l’attenzione, attira pubblico per pochi giorni, porta consumi rapidi. Ma è un’economia leggera, fragile, che si esaurisce nello stesso tempo delle sue luci. Finito l’evento, tutto torna com’era: nessuna nuova impresa, nessuna competenza, nessuna filiera. Nessun giovane che decide di restare perché ha trovato un ecosistema creativo e professionale. L’effetto scenico funziona, ma svanisce.
E questo ha conseguenze precise: la cultura della vetrina orienta l’economia verso poche tipologie di attività – ristorazione veloce, souvenir, consumo rapido – comprimendo tutto il resto. Le attività si somigliano, i margini scendono, aumenta la competizione al ribasso. Un modello nato per “aiutare il commercio” finisce per omologarlo e indebolirlo.
Eppure è possibile dimostrarlo proprio a chi oggi vive di questo modello: un ecosistema culturale forte amplia il mercato, non lo restringe. Porta presenze più lunghe e diversificate; sostiene librerie, artigiani, laboratori, studi creativi, servizi professionali; riduce la dipendenza dai flussi veloci. In altre parole: crea margini, crea stabilità, crea opportunità.
La cultura che genera ricchezza non si fonda sull’effimero, ma sulla costruzione di processi: produzione, ricerca, formazione, imprese creative, tecnologie, artigianato contemporaneo. Sono queste infrastrutture – non le luci – a creare lavoro, competenze, reputazione.
Per questo serve una regia forte, oggi assente. Siena ha istituzioni rilevanti – Comune, Università, Fondazioni, Santa Maria della Scala, operatori culturali – ma agiscono in ordine sparso. Senza un coordinamento stabile, ogni sforzo resta episodico. Un ecosistema nasce quando qualcuno tiene insieme i pezzi, evita duplicazioni, costruisce alleanze e dà continuità.
Parallelamente, la città deve dotarsi di una filiera culturale riconoscibile: spazi di produzione, atelier, laboratori, residenze, imprese creative, studi professionali. Sono questi elementi che generano domanda diversificata e mitigano l’omologazione commerciale che oggi schiaccia il centro storico.
La transizione non sarà immediata. Per un periodo i due modelli – vetrina ed ecosistema – dovranno convivere. Non si spegne un sistema dall’oggi al domani, né se ne crea uno nuovo senza tempo e risorse. Ma convivere non significa restare fermi: significa fissare obiettivi, definire priorità, progettare un percorso condiviso nel medio e lungo periodo.
Il nodo decisivo sono le competenze. Una città che non investe nella formazione e nella ricerca produce solo eventi; una città che investe nelle competenze costruisce futuro. Siena deve recuperare ciò che negli anni ha dissipato: energie giovani, professionalità, capacità di innovare.
E qui serve un messaggio politico netto, immediato, non negoziabile:
La vetrina può avere un suo spazio, ma non può essere il baricentro della città. Il baricentro deve diventare la produzione culturale, l’innovazione e il rafforzamento delle competenze.
Solo così Siena passerà da un’economia che brucia ricchezza a vantaggio di pochi a un’organizzazione che crea ricchezza a vantaggio di molti.





