Arrivato al forum economico di Davos, in Svizzera, per cercare di tenere alta l’attenzione sulla guerra in Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky ha scelto di giocare in attacco.
Nel suo discorso di fronte ai leader della finanza e dell’industria mondiali ha redarguito ancora una volta gli alleati per la lentezza nella consegna degli aiuti al suo paese. «Abbiamo chiesto armi e ci hanno risposto “non causate un’escalation”. Poi le armi sono arrivate e non c’è stata nessuna escalation – ha detto Zelensky – Nel frattempo, i nostri soldati sono morti». Zelensky ha poi escluso ogni possibilità di cessate il fuoco con la Russia. Un «congelamento del conflitto», ha detto, servirebbe solo a Putin per riarmarsi.
SOLDI E PACE
Dopo il suo breve discorso, Zelensky ha avuto un incontro a porte chiuse con i leader di alcune delle più grandi istituzioni finanziarie al mondo, come JPMorgan Chase e BlackRock. «È molto importante essere qui per accelerare gli investimenti in Ucraina che per sostenere la nostra economia», ha detto Zelensky, che è alla sua prima visita di persona al Forum dall’inizio dell’invasione su larga scala.
Il presidente ucraino si trova in Svizzera da lunedì, quando ha incontrato i leader elvetici che hanno acconsentito alla richiesta di ospitare un nuovo summit per discutere il piano di pace elaborato dal governo di Kiev. Il giorno prima, a Davos, si erano riuniti per discutere lo stesso tema i consiglieri per la sicurezza nazionale di 81 paesi, guidati dal capo di gabinetto e braccio destro di Zelensky, Andrii Yermak.
Si tratta del quarto incontro in questo formato. Il piano di pace ucraino in discussione prevede il ritiro completo delle truppe russe dai territori occupati e gli ucraini hanno festeggiato l’aumento nel numero dei partecipanti – erano 66 i paesi che avevano inviato loro rappresentanti all’incontro precedente, svoltosi a Malta – e la presenza di delegati di paesi considerati vicino alla Russia, come Brasile, India e Sudafrica.
Secondo i critici, questi incontri hanno poche possibilità di portare a un progresso nei negoziati. L’assenza della Russia e della Cina, considerato l’unico paese in grado di esercitare una pressione significativa su Mosca, rendono questi incontri poco più che occasioni per mantenere il conflitto sulle prime pagine dei giornali.
Ma secondo l’agenzia Bloomberg, ci sarebbe un retroscena dietro questi incontri: la diplomazia statunitense ne avrebbe approfittato per fare pressioni sui leader ucraini affinché elaborino piani militari più concreti per arrivare a una soluzione del conflitto.
Figure come il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, presente all’incontro di domenica con Yermak, sarebbero anche preoccupati per gli scontri interni tra Zelensky e il suo comandante delle forze armate, Valery Zaluzhny.
Se pressioni ci sono state, però, i loro effetti fino ad ora non si sono visti. Nel suo discorso di ieri, Zelensky ha fatto chiaramente capire che dal suo punto di vista qualsiasi piano per nuove offensive dipende dagli aiuti degli alleati che al momento restano in gran parte bloccati. Negli Stati Uniti, infatti, non è ancora ripresa la discussione sul pacchetto che include 60 miliardi di dollari di nuovi aiuti al paese, ancora bloccato al Congresso.
Nel frattempo, l’Unione europea è ancora al lavoro per dare il via libera ai 50 miliardi di euro destinati a sostenere il bilancio pubblico ucraino fino al 2027.
I TEDESCHI SONO STUFI
A proposito di aiuti all’Ucraina, il governo tedesco sembra averne avuto abbastanza delle critiche arrivate dall’opinione pubblica interna e internazionale, non ultime quelle indirette che provengono dallo stesso Zelensky, per via di una sua supposta reticenza nell’invio di aiuti all’Ucraina.
Con una situazione economica in netto peggioramento e l’ombra di una recessione in arrivo, il governo di Berlino sembra intenzionato a chiedere che anche gli altri stati membri facciano la propria parte per riempire il buco nelle forniture di armi all’Ucraina causato dall’ostruzionismo dei repubblicani americani.
Ieri, il Financial Times ha rivelato che, su richiesta della Germania, la Commissione europea ha avviato una procedura di revisione per valutare quanti aiuti militari i vari stati membri hanno spedito al governo di Kiev.
Il sospetto è che non tutti abbiano fatto la loro parte. Indiziato numero uno: la Francia di Emmanuel Macron, ma anche l’Italia rischia di essere messa all’indice.
Secondo il centro studi Kiel Institute, la Francia avrebbe speso appena 500 milioni di euro in aiuti militari, meno della minuscola Lituania, con i suoi 2,8 milioni di abitanti. I francesi contestano la metodologia di calcolo dell’istituto e sostengono che la cifra corretta sia 3,2 miliardi di euro.
Si tratta in ogni caso di spiccioli se messi a confronto con il contributo degli Stati Uniti, che hanno inviato nel paese oltre 43 miliardi, secondo il Kiel Institute, molti di più secondo altre metodologie di calcolo.
Il governo tedesco è da tempo sotto pressione dei più convinti sostenitori di Kiev per aver spesso dato voce ai suoi timori che l’invio di particolari armi possa generare un’escalation – l’ultima decisione sotto accusa è il rifiuto di spedire in Ucraina i missili a lungo raggio Taurus. Ma la Germania da sola ha speso da sola oltre 17 miliardi di euro in armi destinate all’Ucraina e al momento è il secondo fornitore dopo gli Stati Uniti, a grande distanza del terzo in classifica, il Regno Unito con 6,6 miliardi.
Nel frattempo, l’Italia rimane uno dei pochi sostenitori dell’Ucraina a mantenere un riserbo quasi totale sugli aiuti destinati al paese in guerra. Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani, i primi cinque pacchetti di aiuti militari approvati dall’Italia avrebbero un valore complessivo di un miliardo di euro.
Con l’approvazione di un nuovo stanziamento pochi giorni fa siamo arrivati all’ottavo pacchetto. Sia in termini assoluti che in percentuale al Pil si tratta probabilmente di una frazione del totale degli aiuti tedeschi.