Cause dirette e indirette
Bisogna mettere una cosa in chiaro: al momento non c’è nessuna correlazione provata tra impianti eolici e spiaggiamento delle balene. È intervenuto persino il Noaa, l’agenzia federale che studia gli oceani: «Non ci sono connessioni conosciute tra nessun tipo di attività eolica offshore e morte di qualsiasi specie di cetaceo», ha detto Benjamin Laws alla Npr, funzionario dell’agenzia. La spiegazione però non è sufficiente. Perché ogni forte rumore, in realtà, è potenzialmente pericoloso per pesci e cetacei. Sono almeno tre le principali fonti di disturbo acustico sottomarino. C’è il traffico navale, che è un vero e proprio rumore di fondo sottomarino, percepibile quasi ovunque. E poi il frastuono delle trivellazioni per estrarre gas dal fondale, nonché il rumore delle prospezioni sismiche, ovvero le micro-scosse che ci servono per sondare e individuare potenziali giacimenti ancora sconosciuti. E, terzo, i suoni delle costruzioni costiere. Un mix che può diventare letale, perché confonde, disturba, fa letteralmente impazzire. È frequente che nelle autopsie delle balene spiaggiate si individuino traumi dovuti a forti pressioni acustiche. Per capire l’effetto basta stare vicino a un cantiere per molte ore al giorno senza protezioni.
Gli incidenti con le navi
Se il rumore è una delle principali concause della morte sempre più frequente di questi enormi cetacei, abituati solitamente a vivere per più di mezzo secolo, bisogna tenere conto di un altro grande problema. L’autopsia sulla carcassa di Lido Beach, eseguita negli scorsi giorni, ha evidenziato che l’animale aveva numerose ferite, alcune considerate mortali, dovute allo scontro con un’imbarcazione. Negli ultimi anni stanno aumentando gli «incidenti» tra cetacei e navi. In altre parole, l’essere umano uccide le balene in due mosse: le stordisce con il rumore, e le finisce facendole schiantare.
Sesta estinzione di massa
Il problema non riguarda solo i cetacei, purtroppo. Anzi, questi enormi mammiferi sono solo la punta di un iceberg ben più grande. Gli scienziati chiamano questa epoca Antropocene, perché l’uomo è diventato un fattore decisivo che influenza clima e biodiversità. Per le Nazioni unite le nostre attività – sconsiderate o necessarie – mettono a rischio ben un milione di specie. Ci avviciniamo senza freni alla «Sesta estinzione di massa»: la quinta è quella dei dinosauri e risale a più di 65 milioni di anni fa, causata da un asteroide.
Oggi quell’asteroide siamo noi. Non è un caso che il numero di spiaggiamenti di cetacei si sia ridotto radicalmente nel primo anno di pandemia: il Covid ci ha costretto a stare fermi e ciò ha lasciato rifiatare il Pianeta e la natura. Senza cantieri, senza movimento abbiamo abbassato il volume lasciando risuonare il canto libero delle balene. Certo, avremmo voluto capire l’importanza del silenzio in altro modo, senza il dramma e il dolore di un virus letale. Però ora possiamo fare tesoro di quell’insegnamento e impegnarci davvero per proteggere la biodiversità. «Ogni specie ha diritto a esistere. E ogni specie ha un valore vitale per gli ecosistemi: le balene sono fondamentali per l’equilibrio degli oceani, con il loro moto circolare dal basso verso l’alto muovono preziose sostanze nutritive», spiega Valeria Barbi, politologa e naturalista.
Da secoli le balene ci ossessionano, le inseguiamo, le cacciamo. Oggi sono persino usate per uno scontro tra politiche rinnovabili contro le lobby del petrolio, che spingono la politica americana a dividersi per i nuovi impianti eolici. Necessari per la transizione energetica, ma non esenti dal rispetto per l’ambiente. Per affrontare il problema bisogna abbracciarne la complessità. «L’ignoranza è madre della paura», scriveva Melville in Moby Dick. Di fronte a questo cimitero a cielo aperto dovremmo ricordarcelo, smetterla di dividerci in tifoserie e capire che il nostro ruolo non è di regnare sul Pianeta in solitudine. Ma in compagnia. Di balene e rinoceronti, ma anche insetti o minuscoli funghi. Siamo terrestri tra terrestri.