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16 Marzo 2023Non condivido l’omogenitorialità e mi rassegno con perseveranza nelle cose in cui credo, ma senza sacrificare loro la realtà. Soffrendo un po’
Ho un problema. Sono un ammiratore incondizionato di Tommaso Giartosio, voce di Radio 3, l’italiano in assoluto che parla al meglio la mia lingua, non una parola di meno, non una parola di più, mai una banalità, nemmeno per sbaglio, poetico senza affettazione, intellettuale senza spocchia. Il miglior fabbro di parole parlate che conosca, un talento purissimo. La sua voce non sorride e non ammicca, non canta, procede impavida tra mille trappole della stupidità, riesce a convertirle in un quanto di saggezza.
Che Giartosio abbia un marito e dei figli non mi scandalizza. La penso come Mattia Feltri, in merito. Un tranquillo fatto compiuto, un “va bene così” al quale non si appunta nulla di diverso dal dato dell’affetto familiare e dell’amore tra due esseri umani di sesso maschile, tra quattro esseri umani che calpestano il mio stesso suolo a pieno diritto.
Al tempo stesso credo che l’omogenitorialità, di cui so nulla e quel poco dai giornali, sia uno sfregio di cultura e di senso a criteri di vita ai quali tengo come pegno di una civilizzazione fondata sulla diversità e l’eguaglianza tra uomo e donna. Anche il matrimonio egalitario, che è cosa diversa dalla libertà di essere come si è o come si diviene, mi sembra la sottrazione di alcunché alla base religiosa, prima di tutto giudaica e cristiana ma non soltanto, del matrimonio come fatto ancestrale, continuità di una tradizione illustre. La critica del matrimonio è libertina, razionale, comprensibile, fondata il giusto e lo scorretto, e in famiglia con il mio dolce padre scherzavamo sempre sulla famiglia come “associazione per delinquere”, l’aggiunta del matrimonio tra eguali implica una combinazione di amore e tecnica bioingegneristica, con il sostegno portatore di un corpo o di un seme altrui, che sa per me di follia generazionale, di cattiva contemporaneità, di chiusura verso il futuro o di sequestro del futuro comune in nome di una convenzionalità dell’esistenza irrorata dal sentimento e dal desiderio.
So benissimo che di tutto questo non mi accorgerei nemmeno in una eventuale vacanza comune con la famiglia Giartosio-Goretti, che i due figli devono avere gli stessi diritti degli altri, sono esattamente come gli altri figli, e così i due coniugi, che è stupido e crudele negarlo, come cercano di fare adesso le forze del tradizionalismo ideologico attive su un fronte di guerra di cui probabilmente non conoscono i confini e le regole. Ma anche le mie idee sono effetto di una paternità, di una maternità, di una fratellanza e di una filiazione.
Che fare? Che cosa pensare? Penso al chierichetto di Mosca, penso ai chierichetti spesso disgustosi che hanno sostituito e messo in burla con le loro magagne e ubbie il tentativo razionalista e di fede di Ratzinger o di Giovanni Paolo II, e le mille testimonianze laiche, fuori le mura, che parlano di una società naturale da difendere dal nuovo stato di diritto eguale. Non mi appello allo splendore della verità, posto che splenda, non mi appello alla Bibbia, al vangelo di Paolo di Tarso, piuttosto mi adeguo, mi fluidifico, mi metto in contemporanea con i contemporanei, non c’è alternativa, e mi rassegno con affetto e perseveranza nelle cose in cui credo, senza sacrificare loro la realtà. Ma ne soffro. Ecco.